Ricordo che, da piccolo, mi sedevo sempre in un piccolo angolo fuori dal portone di casa mia. Ed in quell’angolo mi ritrovavo a pensare al mio eroe del tempo (ed anche un po’ di adesso) Zorro e alle mille avventure che avrei potuto vivere, le cavalcate selvagge, gli amici, le donne. Ma, ad un certo punto, lentamente seppur ad una velocità incontrollabile, tutto questa fantasia mi è stata tolta. Chiunque mi vede, vede una malattia ambulante. Ed è questa la cosa peggiore. Quello che sento, la persona che sono, i miei interessi, le mie passioni, sono sempre in secondo piano rispetto alla sedia a rotelle, alla mia voce ormai andata. Dire che il destino è stato cattivo con me, ingiusto, sarebbe un’inutile arrabbiatura che non mi porterebbe da nessuna parte e che continuerebbe a dare una visione distorta di quella che è la mia vita adesso. Sinceramente, tutto quello che il mondo vede come disabilità, sintomo, clinica per me è solo fonte di una grande tristezza. Una tristezza quasi universale, quasi in un senso romantico del termine, una tristezza sola. Guardo fuori, vedo vite che vanno avanti, miei coetanei che si fidanzano, si smollano, si rincorrono. E a me invece deve mancare correre, mancare una relazione normale, se così si può definire oltre che mancarmi l’essere considerato normale. Sicuramente, ad uno sguardo grossolano, sono un disabile. Non cammino, non mangio, non parlo. Ma ad uno sguardo attento, secondo voi, cosa sono? Ve lo dico io: un ragazzo di poco più di vent’anni, appassionato di film, di storia, di tanto altro. Come vi farebbe sentire se nessuno vedesse quello che siete in realtà? Io mi sento esattamente così.
E a cosa vi spingereste pur di dimostrare cosa siete? Pur di non perdere voi stessi? Le risposte non sono così tante eppure neanche così poche. A me personalmente ne è venuta in mente una. Come faccio a fare in modo che la malattia non mi definisca, che si trasformi nella sola cosa per cui verrò ricordato? Facile. La faccio fuori.
Sono un malato incurabile però. Quindi, per sconfiggere la malattia, devo per forza sconfiggere me. Ma non tutto me stesso, solo il mio corpo. La mia attuale trappola. E preferisco essere ricordato come la persona, il ragazzo giovane e forse incosciente che ha caricato di coraggio un borsone e l’ha fatta finita, piuttosto che sentirmi vigliacco e vivere solo perché è quello che tutti si aspetterebbero. Forse sono egoista, ma vi svelo una grande verità: tutti gli esseri umani sono egoisti. E questo dimostra per l’ennesima volta, che la malattia non mi rende diverso da voi. Siamo egoisti uguali, belli uguali, fantasiosi uguali, innamorati uguali. Ed è questo quello che più di tutto mi farebbe sentire meglio, più degli sguardi e delle medicine: la libertà di essere uguali, di essere insieme.
Questi incontri che faccio, sono molto emozionanti per me. Guardare tutti quei ragazzi e ragazze, in salute, più o meno felici della loro vita. Può darsi pure che domani già si saranno dimenticati di me, di quello che ho parlato. Ma spero si portino a casa un messaggio positivo. Apprezzate quello che la vita vi offre, non fermatevi all’apparenza. Guardate oltre. E se avete problemi, normali alla vostra età, non abbiate paura di parlarne.
Cristian