Emanuele Severino, nell’incipit de“ Il dito e la luna“, scrive: ogni giorno, la violenza fa il suo giro sulla terra. E ogni giorno si levano contro di essa le voci della civiltà. Esse hanno tutte un tratto in comune. Credono che la condanna della violenza sia sostenuta da ragioni etiche. Ma quelle voci dimenticano che la civiltà è del tutto priva di ragioni contro la violenza, è la civiltà stessa ad essere intrinsecamente violenta. L’unico senso del suo aver ragione contro la violenza non può essere altro che la forza di arrestarla e distruggerla. La civiltà HA RAGIONE contro la violenza solo se riesce ad essere una forza più potente da riuscire a contrastarla e non a darle pieno diritto d’asilo. La società, oggi, avverte che la ragione è un mito, che la verità incontrovertibile non solo fa fatica a soggiornare, ma sembra addirittura essere pretestuosa. Questo vuole anche dire che le leggi prodotte da essa non possono certo vantare l’incontrovertibilità, quando va bene sono espressione di una maggioranza vera. Per cui la loro razionalità sta nel loro essere rispettate, nulla di più. La trasgressione delle leggi è irrazionale, e quindi violenza, solo se fatta ad opera di una minoranza. Se è la maggioranza a stare dalla parte della trasgressione è la legge che diventa violenza, (basti pensare alla pena di morte) e la trasgressione diventa legge. Le voci dissonanti credono che la violenza sia un corpo estraneo alla civiltà, e che quindi la società la possa rifiutare, senza mettere in questione se stessa. Questo è il grande equivoco. Noi, avvertiamo l’aspetto parossistico della vita moderna, sostenuto tra l’altro, da un linguaggio anch’esso violento, che cambia i significati di fondo a tutto ciò che in quanto astratto, è anche difficile da determinare. Il bene, il male, il giusto, l’ingiusto, sono categorie metafisiche, il cui statuto concettuale non trova ancoraggio stabile, e per un limite del linguaggio, e per loro difficoltà di oggettivazione. Terreno fertile,questo, per l’equivoco, perché ben si prestano ad un interessato cambio di registro, alle furbate, al politicamente corretto, che ci vuole arruolati ad un buonismo ad interim, che ci faccia sentire dalla parte giusta ,che ci tolga la voglia di ribaltare il tavolo per mostrarne l’inautenticità, facendo apparire il dissidente in uno stato di cattività anacronistica ,come succede a chi nel compito in classe va fuori tema. Nessuno ha voglia di dissentire alle moderne guerre “etiche“, sarebbe bastato sottolinearne l’ossimoro; la contraddizione è errore anche per la matematica. Biden sta sostenendo una guerra in Europa, a rischio atomica, di natura imperialistica, non certo filantropica come il politically correct lascia passare; a parte qualche settore di nicchia, chi si preoccupa di far notare che se non cambia sistema produttivo, non c’è Greta Thunberg che ci possa salvare: stiamo consumando risorse naturali come se avessimo a disposizione 1,7 pianeti e ancora parliamo di crescita. Per il 2050, dovremmo avere dalla nostra, 3 pianeti terra, per riuscire a sostenere questa iperproduzione, che serve solo all’élite finanziaria, a questa classe di vampiri che vive di rendita usuraia affamando il resto del mondo, senza alcuna risonanza emotiva, altro che falsa coscienza, qui non vi è più nulla di traccia umanistica. Siamo di fronte a una nuova antropologia introdotta in letteratura da “ il dottor Jekill e mister Hyde, ma anche la morale di Frankenstein ci dice parecchio sulla responsabilità che deriva dai pericoli del progresso. Dove vogliamo collocare le voci della civiltà nello stato di polizia tanto amato dalle destre, o nel buonismo delle sinistre che non sono più né antiborghesi né anticapitalistiche. Stati teocratici, come l’Iran, hanno la polizia morale, come se l’etica potesse venire dalle leggi, come se la moralità fosse oggettivabile: è il braccio armato di un paese che condanna la libertà. La libertà è una parola di gran successo, di quelle che strappano l’applauso, ma poi, di fatto, non è certo il paradigma assoluto del nostro tempo. Da qualche mese siamo un paese (o forse sembra si debba dire nazione), guidato dalla destra, non che la sinistra che l’ha preceduta lasci ricordi degni d’encomio, ma anche questo nuovo inizio non è che ci faccia ben sperare. Abbiamo sentito parlare di maneggiamenti di diritti acquisiti con lunghi anni di lotte sociali, di decreti su divieti di assembramento più che sui famigerati rave party, che, a detta di quelli che contano, sembrano essere il vero disagio sociale del contemporaneo, da scongiurare, con una scomunica che prevederebbe 6 anni di carcere, quanto un occultamento di cadavere. Mi si dirà che non passerà per intero, che gli anni saranno magari 2 al massimo 3, ma è sbagliata proprio la ratio di questa norma, non solo perché illibertaria, (dovremmo contarci prima di festeggiare i diciottesimi), ma anche perché ricorda un modus operandi pericoloso, si applica a tutte le libertà aggregative, è una di quelle furbate, da cui una destra che vuol essere riformista dovrebbe staccarsi. Senza contare che negli ultimi due anni i giovani sono stati costretti a regalarli alla pandemia, che ha tolto loro ogni cosa. Basta segno meno, questa quarta generazione figlia della guerra, merita molto di più di essere salvata dal pericolo immane dei rave party, merita che gli sia garantito un futuro non soltanto biologico. Voglio credere che saranno loro stessi a riprendersi con orgoglio quello che noi non siamo stati in grado di fargli ereditare per diritto. I ragazzi hanno bisogno di autenticità, non di polizia morale, ancora meno di lezioni di etica senza incarnarla. Dobbiamo raccontarci loro in modo autentico, perché loro sono interessati a questo. La nostra responsabilità è enorme. Siamo noi, terza generazione dalla guerra, a dover fare ricerca della verità. Dovremmo sentire disagio verso i giovani,se non vero e proprio senso di vergogna, dovrebbe essere un’esigenza morale capire bene il passato, la nostra storia, per comprendere meglio cosa abbia poi prodotto questo reale, che resta distopico nonostante sia anche figlio dell’allunaggio e della fisica quantistica. Non è un debito che abbiamo solo verso i nostri figli, ma anche verso i loro amici e gli amici degli amici. E’ un carico morale di cui la mia generazione non si libererà mai del tutto, ma la verità alleggerisce sempre. Noi sappiamo chi siamo solo se siamo in grado di raccontare la nostra storia. I ragazzi che stanno male, sono un nostro sintomo, inutile cercare chissà dove. Assumiamoci le nostre responsabilità. Scaviamo nella nostra storia, è solo conoscendo il passato che lo si può superare davvero, altrimenti restiamo fermi, altrimenti il passato non passa. Serve anche a noi, per essere noi stessi. Per essere liberi di costruire un futuro con il segno più. Chi non fa i conti con la storia si illude solo di agire, ma di fatto è agito dal passato. E’ la storia a darci la possibilità di non rifare gli stessi errori. Polibio ancora prima di Tacito (parliamo di terzo sec. A.C.), dice che grazie alla memoria del passato possiamo valutare con più sicurezza qualsiasi situazione, per rendere solidi le previsioni del futuro. Riaprire i conti col passato è un dovere etico morale, perché i nostri figli meritano un futuro libero da questo carico. Perché non è vero che una cosa smette di esistere se si smette di parlarne. In Italia è mancata la responsabilità collettiva del fascismo, si è preferito giocare sul senso di colpa, che non è assunzione di responsabilità. E’ il nostro paese stesso, oltre che ognuno di noi, che dovrebbe fare i conti col passato. La Francia lo ha fatto con Jacques Chirac nel 1984: parlerà di contributo alla Shoah. Per la prima volta cade il mito francese,perché paese collaborazionista. I tedeschi cominciano a piangere, per la loro colpa metafisica, dopo il processo Eichmann, dopo la sua cattura in Argentina, siamo nel 1961. In Italia, in quegli anni, si legge Primo Levi e il diario di Anna Frank, ma gli italiani erano ancora brava gente e ancora oggi si dice che Mussolini ha fatto anche cose buone. Le leggi razziali vengono etichettate come semplice errore storico e non come storico orrore. Abbiamo dovuto aspettare Mattarella nel 2018 per sentirne parlare come della vergognosa conseguenza dell’ideologia fascista, che condanna di fatto gli ebrei in Italia,all’oblio civile, non so quanto meno esiziale della loro stessa eliminazione fisica: bambini strappati via dalla scuola e dalla loro vita, padri di famiglia cacciati dai lavori statali, intellettuali perseguitati, confisca dei beni. Gli omosessuali furono mandati al confino,se nel codice Rocco non rientrò nessuna legge contro l’omosessualità fu per non lasciar traccia di una presenza di cui “vergognarsi” nel nostro paese. I nomi ebraici saranno cancellati dagli elenchi telefonici, persino dai necrologi. Fu una vera e propria persecuzione, delle peggiori specie. Cosa sarà mai far passare per goliardìa la nostalgia del nostro presidente del senato Ignazio Benito La Russa, che mostra con orgoglio busti e medaglie, di cui si fregia ornare casa, per onorare il suo ben più noto omonimo? A fargli gli onori di casa al Senato, un’anziana signora, Liliana Segre, che per uno strano gioco del destino è stata una di quelle bambine strappata al suo banco di scuola per avere come unica colpa quella di essere nata il 10 settembre del 1930 con un nome ebreo. In una democrazia può stare un partito fascista, ma in un partito fascista non c’è democrazia. Perché il fascismo non è il contrario del comunismo, ma è il contrario della democrazia. La storia insegna ma bisogna conoscerla, non rimuoverla, per potercene servire. La generazione dell’immediato dopoguerra assiste a una rimozione totale del ventennio: nel 1946 l’Italia ha mischiato gli atti, nel1948 vengono reintegrati nelle funzioni pubbliche tutti quelli che erano stati epurati,1953 ennesima amnistia, si deve mettere un punto e andare daccapo, per pacificare l’Italia. E’ lì che abbiamo chiuso gli armadi, senza fare le necessarie pulizie di stagione. Il male assoluto va assunto a paradigma, ma perché non si ripeta, non per farne l’uso ideologico che se ne fa. Spesso lo si evoca per legittimare il nostro tempo, che privo di principi etici morali ha bisogno di ricordare l’orrore del fascismo per poter affermare una decenza che non ha. Tutti i giorni dovremmo farci i conti, dice Hannah Arendt, perché un’ideologia così degradata è stata il frutto di una mancanza di responsabilità da parte di tutti, di errori voluti e propagande studiate a tavolino, quindi qualcosa di umano, “troppo umano” direbbe Nietzsche. Errori che non lascerebbero alcuno spazio a nostalgie evocate con busti di marmo e con saluti tristemente noti. Forse è questo necessario sforzo di memoria che potrebbe renderci autorevoli agli occhi dei nostri giovani, è questo che ci chiedono: autorevolezza, non autoritarismo. Questo percorso per riconciliarci con la nostra storia, va fatto con autenticità, spogliandoci da tutte le possibili ideologie, per inseguire una verità da troppo tempo evitata, vittima di un revisionismo storico non meno violento della violenza stessa che intendeva coprire con il velo di Maya: solo la verità legittima sempre. Lo sterminio degli ebrei fu possibile perché i nazisti qualificarono gli ebrei come cose, gli ebrei furono privati della loro dignità di essere umani. Se noi non ricordiamo questo, continuiamo a legittimare lo sterminio di milioni di persone. Lo spirito critico si spegne nella massa, il rischio è quello di non vedere più i pericoli, neanche quando sono concreti. I totalitarismi sono figli della società di massa. Elaborare il passato è doloroso e noi viviamo in una forma di benessere che vieta fare esegesi della verità del negativo. Di fronte ad una brutta diagnosi siamo presi dalla disperazione; perché non abbiamo più contezza del senso della vita, non abbiamo contezza di quel negativo che è anche necessario per costruire ponti con quello che non ci piace, ma che in qualche modo dobbiamo essere in grado di gestire. Non sappiamo nemmeno più dare un nome al nostro malessere, è sparita anche la nomenclatura per poterlo nominare, ci hanno lasciato un “ fattene una ragione ,che se c’è ancora qualcosa di democratico, quello è il male di vivere”. La verità è l’unica necessità dell’uomo, perché l’amore è perfidia senza verità, la santità è empietà senza verità, la felicità è angoscia senza verità. L’equivoco è di quelli facili da far circolare, senza il faccia a faccia promesso dalla parusia, sembra valere tutto e quindi niente. Da sempre questa interrogazione è stata il compito della filosofia, per questo siamo tutti un po’ filosofi. Eraclito ci invita a fidarci del logos come unico giudice della verità, l’unico in grado di dirci se la nostra audacia nella ricerca di un orizzonte di senso, se quel nostro osare sapere, sia un’azione sconveniente perché scorretta, perché presuntuosa, perché incestuosa, o se sia coraggio, rischio, ardore della non rinuncia alla verità. Se siamo nell’opzione giusta, siamo nella pienezza della nostra realizzazione perché è l’unico modo per essere quello che si sa. E’ la verità che sa dell’errore, l’errore non sa della verità.
ANNA FERRARO
Settanta anni fa, esattamente il 20 novembre del 1952, ci lasciava Benedetto Croce.
Uno dei più grandi filosofi del ‘900, ricordato come guida morale all’antifascismo. La dottrina Crociana è tutta improntata sull’importanza della storia. Per Croce lo spirito è la storia e la storia è lo spirito, è nello sguardo storico che troviamo l’essere e il dover essere. Nella sua filosofia è la storia la vera essenza del mondo, il vero Dio. Nessun agire può fare a meno della storia “non si va da nessuna parte se non si sa da dove si viene“ CIT. Benedetto Croce.