Una cittadella della corruzione garantita da uno «status quo» politico amministrativo finanziato con un giro di appalti truccati a favore di una ristretta cerchia d’imprese edili dell’agro aversano. Tutto nella consapevolezza del capo in testa, il sindaco decennale Dario Rotondo. Incredibile, secondo chi lo conosce per le sue battaglie a difesa del territorio, per il suo coraggio da perfetto imprenditore, per il suo amore per la famiglia. Rotondo è stato sentito in carcere ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. La sua posizione sarà rivista tra dieci giorni in sede di tribunale del riesame. Il resto lo dice la robusta ordinanza di custodia cautelare. Il report degli inquirenti è la trasfigurazione della Pietravairano che conoscono tutti, da un grazioso presepe di cartapesta a un paese di frontiera.
Le indagini nascono da alcune registrazioni effettuate da un imprenditore del posto che ritenendosi estromesso dal giro di aggiudicazione degli appalti (metà dei quali comunque assegnati ad altre ditte del posto e i restanti a imprenditori forestieri) inizia delle indagini personali. Si munisce di un registratore tascabile e prende contatto con Cerbo, al quale sollecita un incontro con Del Sesto. Vuole capire i motivi del suo isolamento ma finisce con lo stimolare lui stesso lo scivolamento degli interlocutori verso inediti o consolidati comportamenti. Poi fa centro. Lancia un sasso nello stagno. «Fammi parlare con l’assessore – dice, rivolgendosi a Cerbo – voglio anch’io lavorare su Pietravairano e sono disposto a pagare il doppio degli altri». E Cerbo, pressato, promette di farsi parte attiva per la fluidificazione del contatto.
Le registrazioni, una serie di nastrini, finiscono nelle mani degli inquirenti che entrano in azione poco dopo, quando si vedono recapitare un documento che anticipa l’assegnazione di un appalto appannaggio di una ditta ben determinata molto tempo prima dell’espletamento della gara. È lo start up investigativo.
Grazie a questo terzo microfono nascosto gli organi inquisitori ritengono di aver trovato il bandolo della matassa del sistema di pagamento delle tangenti. Il taglieggiato di turno acquistava materiale edile solo presso i magazzini Cerbo e questi provvedeva con una «sovrafatturazione». Ossia raddoppiava la cifra in bolletta, intascando i soldi per la merce venduta e dividendo la differenza con i complici. Una stranezza, se solo si pensa all’iperbole provocato nel giro d’affari annuo. L’imprenditore avrebbe anche fatto notare, accennando a una prima linea difensiva, di essere stato più volte prescelto per gli acquisiti essendo l’unico e solo magazzino di una certa portata e fornito di tutto, per una vasta area. E, invece, ruota proprio intorno ai magazzini Cerbo e alle super fatture il principale capo d’accusa delle persone tratte in arresto e di quelle raggiunte dagli avvisi di garanzia.