WALTER GANAPINI |
CASERTA – L’emergenza rifiuti in Campania è cessata o non è cessata? Per decreto legge (il 195 del 2010), cioè con una disposizione d’urgenza, il Governo ha deciso che dal 1° gennaio di quest’anno tutto deve ritornare nella normalità. Ma si tratta di un imbarazzante eufemismo, come ha notato subito l’Anci Campania che ha proposto a tutti i Sindaci un documento comune di condanna.
In realtà, il Governo ha disciplinato ancora in modo più speciale il ciclo dei rifiuti e le competenze in Campania, rispetto a tutte le altre Regioni d’Italia. E la Regione rischia, in tempi brevi, di ripiombare nel pozzo dell’emergenza rifiuti. Non sappiamo quanto consapevolmente, i “maligni”parlano addirittura di una strategia politica di accerchiamento del centro sinistra campano, ma questo è accaduto e accadrà!
Vediamo in che modo.
Intanto, siamo passati da un solo commissario a cinque commissari, uno per ogni Provincia, nelle figure dei suoi Presidenti fino al 30 settembre. E già questo, non depone bene per il decantato ritorno alla normalità. Poi, in una visione non proprio federalista, il decreto legge ha deciso di modificare dal Centro la disciplina di settore che si è data la Regione Campania, con la legge n. 4 del 2007. La Regione, invero, cercando di venire incontro alla richiesta di “provincializzare” la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, aveva previsto – in sede di prima applicazione – la nascita di un Ato (Ambito Territoriale Ottimale) in ogni Provincia, due, invece, per quella di Napoli.
Anche questo un errore già grossolano, che mortificava la ricchezza e l’autonomia dei Comuni in cinque/sei “carrozzoni provinciali”, sotto forma di Consorzi obbligatori, non immuni dal cancro delle clientele, visto che dovevano essere guidati dai Presidenti delle Province e gestiti attraverso Consigli di Amministrazione eletti dalla politica. Ma, almeno, c’era la previsione di un minimo di flessibilità e di modificabilità delle scelte in itinere, unitamente al paravento di un Piano Regionale a farsi come struttura portante. Anche se bisogna aggiungere che la scelta di accentrare in una sola struttura provinciale la gestione del ciclo dei rifiuti, regionale o governativa che sia, rebus sic stantibus, è semplicemente folle; come si può, infatti, sperare che basti ingrandire l’organizzazione quantitativamente per ottenere maggiore qualità, efficienza ed efficacia? Giorgio Celli, ha citato il caso dell’Alce d’Irlanda (Giganteus Megaloceros), specie estintasi presumibilmente a causa del suo palco di dimensioni spropositate (ipertelico).
Insomma, crescere, non significa maggiore capacità di gestione.
Al contrario, può anche determinare il fallimento dell’organizzazione. Ma tant’è. Al peggio, verrebbe da dire, non c’è mai limite. Il decreto legge, non solo sostituisce ai “Consorzi Obbligatori” le “Società provinciali obbligatorie”, facendo sfoggio, si fa per dire, di una notevole creatività linguistica, ma affida alle stesse anche la gestione della Tassa dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) o della Tariffa Integrata Ambientale (Tia), per le amministrazioni che l’hanno già adottata. E qui, casca l’asino! In primo luogo, può il Governo, secondo la nuova versione del Titolo V della Costituzione, che attribuisce pari dignità – nell’ambito delle loro attribuzioni – ai vari livelli dello Stato apparato e comunità, per riprendere una distinzione introdotta da Costantino Mortati, modificare una prerogativa impositiva dei Comuni senza nemmeno sentirli? Certo che no! Ma, soprattutto, può funzionare un sistema di gestione provinciale (per la Provincia di Caserta 104 Comuni), che si faccia carico, dall’oggi al domani, della gestione dei ciclo dei rifiuti solidi urbani e che svolga anche contestualmente il compito di esattore della tassa e/o tariffa? E’ un’assurdità logico-sistematica! Che non fa i conti con la complessità delle procedure, le tecnologie utilizzate ed i saperi accumulati necessari per risolvere problemi complessi.
Per esempio, quali software utilizza la società provinciale per ricevere i dati dei Comuni, decodificarli e ri-utilizzarli? Come fa a distinguere ed a tenere, contestualmente, insieme le contabilità dei Comuni Tarsu e dei Comuni Tia? Non è prioritario elaborare un Piano industriale provinciale? E non sarebbe il caso che si decidesse, definitivamente – attraverso un Piano Regionale – dove, quali e quanti impianti si devono costruire in una logica di filiera Verde? Allora, che fare? Innanzitutto, si esce dall’emergenza riconsegnando la gestione della Tarsu/Tia ai legittimi proprietari (i Comuni) e poi, attraverso un periodo transitorio ed una calendarizzazione dell’avanzamento verso la normalità. Ma soprattutto la “normalità” dovrebbe essere segnata dalla ri-appropriazione progressiva da parte degli Enti Locali del loro diritto di scegliere sul mercato il gestore del servizio di raccolta dei rifiuti e della raccolta differenziata e non tenendoli legati a “carrozzoni” che hanno già dato prova strutturale della loro incapacità gestionale.
Una specificità Campana, tuttavia, c’è e andrebbe ri-elaborata su più fronti complementari: a) sul piano della blindatura delle procedure di appalto, rendendole ancora più impermeabili all’invadenza delle associazioni criminali, attraverso, per esempio, una certificazione di legalità ( da inventare) delle imprese nel settore dei rifiuti; b) sul piano della strutturazione e proposta ai Comuni di un modello di Gestione per la Qualità (Sgq) del Servizio di raccolta differenziata, secondo le norme europee della certificazione di qualità, con incentivi appropriati; c) sul piano della organizzazione di una filiera verde provinciale (a partire da almeno due, tre, impianti di compostaggio per la frazione umida in ogni provincia); d) sul piano di un paniere di misure per ridurre la quantità a monte di rifiuti, a livello del sistema industriale della produzione (eco-design) e commercializzazione delle merci; e) sul piano, infine, di un insieme di incentivi per spingere i Comuni di piccole dimensioni a consorziarsi in associazioni istituzionali sostenibili, salvaguardando le esperienze dei Comuni ricicloni e virtuosi. Sono input, forse, utili non solo a cambiare il decreto legge 195, rilanciando il ruolo dei Comuni, ma anche a rimettere in pista una capacità regionale di gestione integrata dei rifiuti, in sintonia con la volontà dell’Assessore regionale Walter Ganapini, che modifichi – con un approccio sistemico e scevro dai grandi interessi industriali legati alla termovalorizzazione dei rifiuti – la carente legislazione regionale, per certi versi alibi di un decreto legge fuori misura.
Fernando Zanni
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