Quel che sta ultimamente accadendo nel mondo depone per un futuro per niente roseo.
Alla guerra in Ucraina, a quella in Palestina, a tutte le insurrezioni presenti nel Medio Oriente si è aggiunta, entrata a gamba tesa, e forse inaspettata data la maturità più volte dimostrata dal popolo americano, la elezione alla Casa Bianca di Donald Trump.
Si è presentato al suo elettorato come un “Deus ex machina” in grado di fermare le guerre in atto e di rilanciare una economia nazionale per il passato forse troppo disponibile per troppi: ma fino a questo momento, grazie ai suoi interventi, le guerre continuano e forse si sono anche ingrandite, e la economia mondiale ha subito un preoccupante colpo.
La sua introduzione di dazi doganali mai stati così alti in nessuna epoca e in tutto il mondo ha rappresentato un grande passo indietro nella storia di una umanità progredita come quella europea, che ha raggiunto persino il traguardo della moneta unica, e comincia a rievocare trascorsi medioevali, quando la sussistenza dei Comuni era legata ai “dazi sul consumo” abolita, difficile e credersi, solo nel 1963; ricorderete il tormentone dal quale erano tartassati Troisi e Benigni nel film “Non ci resta che piangere…”: “chi siete? da dove venite? che portate? … due fiorini!”.
Quelli della mia età ricorderanno anche la sede del dazio esistente a Teano in Piazza Marconi, alla quale si doveva accedere per pagare un tributo qualora si fosse portata in città merce di consumo, allora soprattutto vino e alcolici, acquistata in altri paesi.
Ma la storia degli interventi politici e financo filosofici sulla e per la economia delle Nazioni ha radici lontane nel tempo, e, tralasciandone altri aspetti, si è concretizzata, in tempi per modo di dire più recenti, in due meccanismi: il protezionismo e il liberismo.
Il primo sistema, volto a “proteggere” le mercanzie locali da quelle importate da altre nazioni, è legato al nome di Jean-Baptist Colbert (1619-1683) che fu segnalato al re di Francia Luigi XIV dal Cardinale Mazzarino, che lo aveva avuto come “amministratore privato” dei suoi beni, e che, alla morte del Cardinale, divenne Controllore generale e Segretario di Stato della casa del Re. La sua politica mirò da un lato a sviluppare vie di trasporto interne e dall’altro ad imporre dazi sulle merci importate da altri paesi. Riuscì così a riassestare il bilancio del Regno di Francia, sul quale gravavano, tra le altre, le ingenti spese per il sostegno della Casa Reale; il 1789 era anco0ra lontano!
Ma quando Colbert chiese un giorno a Legendre, un commerciante di mestiere, cosa secondo lui si dovesse fare per far prosperare il commercio, questi gli rispose secco: “lassez nous faire” (lasciateci fare).
La frase, concretizzatasi poi in quella che pronunciò il marchese di Argenson, ministro di Luigi XVI, nella metà del secolo successivo, “lassez faire, lassez passer”, divenne il motto della economia “liberista”: non frapporre alcun ostacolo alla libera contrattazione e circolazione delle merci.
Era questo il sistema “liberistico” teso a lasciare alla sola intraprendenza umana la gestione del commercio evitando di introdurre quelli che Adam Smith, padre filosofico della dottrina, chiamava: “lacci e lacciuoli”.
Non esprimiamo giudizi sulla maggior bontà dell’una o dell’altra dottrina economica.
Ma a giudicare dal marasma prodotto dalle azioni economiche di Trump, non abbiamo alcun dubbio: specie se siamo progressisti e auspichiamo un “villaggio globale”!
Claudio Gliottone