Nella storia della Repubblica Italiana nessun esecutivo è riuscito a governare fino alla scadenza naturale del proprio mandato. In settant’anni di Repubblica abbiamo avuto sessantatré governi. A questo si aggiunge, fatta eccezione per qualche governo targato DC godente del cosiddetto “appoggio esterno” delle sinistre, il necessario accordo tra le varie forze politiche presenti in Parlamento, per avere nei due rami di esso, una maggioranza sufficiente a formare il governo.
Il bicameralismo paritario, già dai padri costituenti, penso ad esempio a M. Ruini, fu indicato quale punto infelice della seconda parte della Carta Costituzionale. Un compromesso al ribasso, insomma, dettato soprattutto dal momento storico. Nell’immediato dopoguerra il clima politico nazionale e internazionale era profondamente diverso da quello attuale; la nostra neonata Repubblica non era solida quanto lo è oggi. Si pensò, quindi, che un sistema parlamentare siffatto fosse una ulteriore garanzia (la costituzione ne prevede molte) onde evitare possibili derive autoritarie, si stimolò in tal modo la formazione di governi di coalizione. Il prezzo da pagare era chiaro da subito: costante instabilità istituzionale.
Nel nostro linguaggio comune, affermazioni come: governo tecnico, larghe intese, governo di scopo, sono famose almeno quanto i senatori Razzi e Scilipoti. A causa delle risicate maggioranze parlamentari, in alcuni casi addirittura diverse tra Camera e Senato, delle coalizioni eterogenee siano esse state di destra o di sinistra, il ruolo del Parlamento è divenuto via via secondario. La sua funzione legislativa è stata pressoché sostituita da decreti legge e voti di fiducia. Questa variante italiana della democrazia ha fatto il suo tempo, è arrivato il momento di regalarla alla storia. La governabilità che la riforma costituzionale garantisce, non aumentando i poteri del governo o del primo ministro , né diminuendo quelli del Capo dello Stato ma semplicemente restituendo al Parlamento la centralità legislativa, è il motivo che mi spinge a votare in maniera convinta SI.
Questo è il nocciolo vero della riforma: abolizione del bicameralismo paritario. La diminuzione dei costi della politica, la riduzione del numero dei parlamentari sono cose positive ma di contorno. Si possono tagliare i costi della politica anche senza riformare la Costituzione. La formazione del nuovo Senato della Repubblica sembra essere il punto più discusso, più criticato dell’intera riforma, in particolar modo per quanto attiene alla mancata elezione dei senatori da parte dei cittadini. Su questo punto credo ci sia molta strumentalizzazione. L’elezione diretta dei senatori si tradurrebbe in espressione della sovranità popolare, così come oggi avviene. Essi allora, essendo espressione diretta della sovranità popolare [stando alla Costituzione : “…la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”] risulterebbero pienamente legittimati, a dare o togliere la fiducia al governo. Quindi se così fosse, non ci sarebbe alcun superamento del bicameralismo perfetto. Il nuovo Senato, avrà compiti e funzioni diverse da quello attuale, rappresenterà finalmente le autonomie locali ai vertici dello Stato.
Trovo pienamente logico quindi, che le modalità con cui verrà eletto siano diverse rispetto alle attuali. I componenti del nuovo Senato inoltre, saranno eletti dai consigli regionali, è vero, ma in conformità con le scelte degli elettori. Ci sarebbero moltissimi altri aspetti di cui discutere, mi sarebbe piaciuto farlo in un confronto pubblico con i rappresentanti locali del comitato, IO VOTO NO –TEANO– ma hanno trovato mille scuse per sottrarsi al dibattito.
Spero vivamente che questo referendum non sia l’occasione per giudicare l’operato del governo, per quello ci sarà modo e tempo. Questa è l’occasione per migliorare il nostro Paese. Nel pieno rispetto delle opinioni altrui spero di svegliarmi il 5 dicembre, in un paese, più giusto, più moderno e più europeo!
Francesco De Spirito