Eravamo a metà degli anni ’80: in piena prima Repubblica. La politica era interamente governata dai partiti e la maggioranza era quasi tutta democristiana, al Parlamento come in periferia. La legge comunale prevedeva la elezione indiretta del Sindaco che avveniva di solito per accordo tra i partiti per votazione del Consiglio Comunale nella prima convocazione del mandato: per consuetudine veniva scelto il candidato che avesse ottenuto più voti nel partito di maggioranza, cosa che, come avveniva anche negli altri alla presentazione delle liste, dava una prima indicazione agli elettori designandolo capolista. Era ancora consuetudine che il nome del capolista dovesse sempre far parte della quaterna scelta dal votante, per cui risultava de facto il più votato e quindi sindaco in pectore.
Il Consiglio Comunale di Teano contava trenta membri dei quali oltre venti erano sempre della DC; sindaco dell’epoca era Luigi Maglione il cui mandato scadeva nel 1985, e ci si preparava alle imminenti elezioni. Maglione, di origini non teanesi e del cui mandato tutti serbano un ottimo ricordo, non volle ricandidarsi.
I problemi strutturali ed esistenziali della città erano sempre gli stessi di oggi, anche se peggiorati poi col trascorrere degli anni.
Contesto ideale per valutare la possibilità di inserire nell’ambito dirigenziale comunale persone non strettamente legate a partiti politici: era idealmente “in nuce” quanto poi si sarebbe verificato con lo scoppio dei partiti e la Seconda Repubblica e la nuova regolamentazione per la costituzione e la elezione dei Consigli Comunali.
Ne appuntai delle idee che pubblicai analizzando i pro e i contro della presenza di liste civiche, che fossero realmente tali, cioè composte da candidati non appartenenti ad alcun partito, ma che fossero competenti di pubblica amministrazione e desiderosi di spendersi solo per un miglioramento della città e non per altro, fosse anche la crescita di un partito. Di esperienze ce n’erano già state a Teano ma con liste civette, come quella dei Coltivatori Diretti, in realtà quinta colonna della DC.
Vediamo quindi sommessamente i pro e i contro.
- CANDIDATO POLITICO
- La scelta terrà preminentemente conto del suo pacchetto di voti e meno delle sue reali capacità e competenze amministrative, e sarà sovente espressione di accordi o di disaccordi interni al partito. (contro)
- La sua attività sarà sempre e comunque controllata da un organo di partito che si fa garante del suo comportamento sociale nel rispetto della sua appartenenza. (pro)
- CANDIDATO CIVICO
- Nella sua scelta dovranno prevalere la sua preparazione culturale generale o di settore, la sua capacità di lavoro, la dedizione alla causa cittadina prescindendo da ogni idea o legame politico. (pro)
- La sua indipendenza totale lo renderà libero di ogni comportamento nei riguardi del gruppo e delle sue decisioni che potrebbero essere anche di contrasto e non correggibili per la inesistenza di un organo di controllo costituzionalmente valido all’interno del gruppo medesimo. (contro)
- CANDIDATO POLITICO
- Dovrà sempre preservare la sua immagine di appartenenza e renderne conto in atteggiamenti che non corrispondano alla linea ideologica del partito conosciuto e perciò garante nei confronti dell’elettore, e non potrà adattarsi a circostanze diverse anche se più necessarie per la comunità locale. (pro/contro)
- CANDIDATO CIVICO
- È un “libero pensatore” senza altri vincoli che il rispetto della parola data e la coerenza nei confronti del gruppo di appartenenza e di ogni suo singolo componente. Potrebbe accadere di mutare atteggiamento per sopraggiunte diversità di comportamento sue o del gruppo, ma resterà sempre irrecuperabile. (pro/contro)
Prime conclusioni:
- Il CANDIDATO POLITICO avrà delle valide motivazioni tra le quali prevarranno i suoi legami con il “partito” cioè una condivisione di modo di pensare e di agire che lo legano a tutti gli altri rappresentanti di esso. Queste riguarderanno certamente problemi specifici inerenti alla buona amministrazione del paese, ma riguarderanno anche la continua aderenza alle ideologie di base di quel partito e queste fungeranno da forte legame tra gli aderenti. Ci sarà, cioè un legame con gli altri che potrebbe indurre a modificare o contenere le proposte attuative del candidato di fronte alla coesione ideologica della sua appartenenza. È senz’altro un aspetto positivo di amalgama e di visione condivisa che può dare buoni frutti, anche perché il candidato politico ha un vissuto di partito che gli ha insegnato a non disperdere o minare quella coesione ideologica e comportamentale che rappresenta la sua comune identità.
- Il CANDIDATO CIVICO avrà delle valide motivazioni nell’adoperarsi per risolvere nel modo migliore le problematiche amministrative che hanno creato la costituzione della sua lista elettorale, e che nascono sovente proprio dal fardello “ideologico” che limita la lista di partito. E di fronte ad una NON-accettazione delle sue proposte potrebbe non avere remore di fronte al mandare tutto all’aria proprio per la inesistenza di legami “ideologici” o pseudo tali: una visione sovente troppo personalistica che guasta sempre e comunque. Nelle fattispecie locale è accaduto con l’Amministrazione Zarone e con quella D’Andrea; ed in qualche modo anche con l’Amministrazione Di Benedetto, la quale è però riuscita a terminare più che degnamente il suo mandato.
Questo per quel che riguarda i singoli candidati; nella prossima puntata analizzeremo le caratteristiche dei Gruppi e poi trarremo le nostre personali conclusioni generali.
Claudio Gliottone