L’A.I. disegna un mondo in cui le differenze originarie si dissolvono, ogni icona è vera perché prodotta: non c’è più scandalo perché non c’è più mistero. La fede è superata, è la tecnica che governa l’uomo. Serve chi comprende le architetture reali del mondo contemporaneo e sà operare al loro interno, con intelligenza e responsabilità, codificando anche la stessa velocità con cui la tecnoscienza rimappa l’agire umano. In Occidente , dopo Kant , il reale si divide in fenomeno e noumeno, in finito e infinito, anche se già Aristotele separa l’essenza dall’esistenza con l’atto e la potenza. Il divenire diventerà il passaggio dall’essere al nulla e non una condizione ontologica che non sottrae determinazioni all’essere, nonostante l’apparenza, che non è l’apparire ( la prima è interpretazione, la seconda è ciò che appare di per se). Per la filosofia severiniana questa apparente contraddizione dell’essere è solo un aspetto del suo apparire finito. Per Severino tutto è eterno da sempre e per sempre, l’uomo è quel finito che ha in sé l’infinito. E’ una sorta di sinfonia la sua, e come tutte le sinfonie non è del tutto traducibile , del resto la semantizzazione , in ultima analisi , è la riduzione dell’essere al solo significato, a ciò che può essere detto, rappresentato, inteso. Eppure nell’intero c’è di più della somma della parti : se qualcosa può essere significato, allora può anche non essere significato : questa è la radice del nichilismo occidentale. La semantizzazione è una forma di oblio dell’essere, tratta l’essente come un prodotto del linguaggio : il dito che indica la luna diventa la luna . Ma la luna è l’anapodittico, quindi indimostrabile, intraducibile come ogni principio primo, come ogni fondamento . Questo significa che la tecnica nonostante la sua potenza, è fondata sull’errore originario del pensiero occidentale, è quindi il gioco apparente di un destino che non può essere manipolato , ogni mutamento,ogni tecnica resta un’illusione; la stessa A.I. è il più grande travestimento dell’oblio dell’essere . La filosofia da sempre detta i significati a tutte le branche del sapere. Quando li cambia non è poca cosa, si passa da un tipo di società ad un’altra. Il pensiero umano è passato da enti immutabili, che si contrapponevano al divenire : Dio, o l’Apeiron ( infinito ), soggetti epistemici, indivenienti a cui era attribuito l’atto creativo, al tutto mutevole, alla mancanza di assoluto, alle situazioni fluide. Arriva la quantistica a dirci che le relazioni si creano momento per momento, e con esse i relati. C’è transumanesimo ? Abbiamo superato l’umano con A.I.? Cos’è l’uomo rispetto alla macchina? Quando si è creato il concetto di uomo come soggetto di diritto? E l’A.I. potrebbe diventare anch’essa un ente di diritto? E’ tutto da stabilire, il diritto positivo è sguarnito a questo riguardo. Nascono nuovi significati, legati ai moderni paradigmi : se l’uomo si digitalizza e la macchina si umanizza , fino a diventare creativa, chi governerà chi? Lo stesso concetto di uomo, a un certo punto della storia, passa da epistemico a mutabile . Dal diritto naturale a salvaguardia della giustizia universale, adottato da Platone, Aristotele, Tommaso, si arriverà alla Carta dei Diritti Umani. Dal giusnaturalismo , a fondamento dei diritti innati dell’uomo , al giuspositivismo delle leggi positive dello Stato. La svolta arriva con Kant che invoca l’etica del dovere e l’autonomia della ragione, è pur sempre un illuminista : l’uomo che obbediva alle leggi di natura, ora detta le leggi alla natura. E’ così che ci libereremo dell’immutabile . Il diritto naturale sarà superato in forza della sua ambiguità , in quanto filiazione del metafisico, quindi indimostrabile, ma anche perché le classi dominanti ne faranno usbergo a protezione dei loro privilegi . Sarà Nietzsche a farlo in modo strutturato : se il divenire nega l’eterno , anche le leggi di natura non possono più essere assolute. Sarà questa la base per l’inversione totale verso il positivismo. Il diritto positivo ha la prima crisi dopo la seconda guerra mondiale, ha generato la Shoah , sarà sganciata l’atomica, non può essere poi così giusto, va rivisto. E’ una questione ancora aperta quella del giusnaturalismo e del giuspositivismo : noi viviamo , o perlomeno crediamo di vivere , nella possibilità e non nella necessità. Siamo tutti figli del PDNC ( principio di non contraddizione), reso fluido da Aristotele stesso. La nostra volontà non è altro che il tentativo di superare questo Principio, che Severino ricorda essere ontologico prima che logico (sciogliendolo dall’aporia in cui lo lascia Aristotele). E’ il vero limite alla nostra volontà , perché è la struttura stessa dell’essere : E’CIO’ CHE E’. Non ci avvediamo che senza necessità , neanche la possibilità potrebbe porsi come tale. Il possibile è in un corto circuito logico : per essere tale , deve negare la necessità, che è la condizione stessa perché il possibile possa porsi come tale. Lo stesso Platone glissa questa fondamentale aporia, aprendo al nichilismo, non intenzionalmente , ma in forza del non detto, che ogni detto porta con sé. Aristotele tenterà di superare la contraddizione teorizzando l’atto e la potenza, ma così la necessità sparirà del tutto : la potenza può diventare atto ma anche no. Questa contesa compare già in Anassimandro, ma nel presocratico c’è l ‘Apeiron , visto come immutabile, anche se le cose del mondo non lo sono. Sarà Parmenide, il padre di Elea, con il più famoso enunciato della storia della filosofia “ L’ESSERE E’ , E IL NON ESSERE NON E’, “a minare l’identità di ogni ente con sè stesso, perché il mondo sarà escluso dall’essere. Per Severino , per sapere cos’è il possibile, bisogna sapere cos’è la necessità dell’essere , cioè l’identità necessaria dell’essente con sé stesso, e non la sua coerenza in un gioco linguistico. Qualcosa di originario ,e non il risultato di una costruzione, il fondamento che ogni costruzione presuppone. Questa è la verità severiniana : non è coerenza inferenziale, ( dedotta ), ma struttura stessa dell’essere. E’ una filosofia che si libera della fede nella parola e nell’interpretazione, perché vede che il DATO non si da nudo, a darsi è la fede nel dato. L’essere non puo’ essere oggetto, perché è l’apparire stesso di ogni oggetto .E’ la necessità assoluta che nessuna fede, nessun Dio, nessuna ragione ( che è anch’essa, paradossalmente al nostro pensare, fede), può superare o sostenere. Il possibile che caratterizza il nostro tempo, è dunque solo una fede, un credere,manca di forza ontologica per potersi porre come verità. Ma chi è il vero colpevole di questa incertezza : l’uomo? La macchina? Dio? E alla luce dei modelli contemporanei , cos’è l’io? Cos’è A.I. e dove collocarla in questo caos ? C’è convergenza o opposizione tra intelligenza naturale e quella artificiale? L’uomo è ancora metro di tutte le cose? O è reificato da un sistema che crede di poter governare , essendone l’artefice? La tecnica è un bene o un male , per l’uomo che crede di usarla a proprio vantaggio? La macchina potrebbe arrivare a creare? Siamo in un cambio di paradigma intellettuale, non soltanto etico-morale. Per Kant , il rispetto della vita umana ,trovava tutela col solo (e si fa per dire ) cielo stellato sopra noi e con la legge morale dentro di noi, l’uomo moderno lo ha ampiamente smentito, e per la macchina? Varrebbe lo stesso imperativo morale? L’uso della creatività della macchina va responsabilizzato? Si riuscirà a normare la creatività dell’A.I., senza bloccarla? Per la Corte di Giustizia Europea l’opera dell’ingegno è protetta dal diritto d’autore quando c’è originalità, quindi se incorpora creatività. Le leggi attuali dicono che solo l’uomo può creare, la macchina no ,nche se in Sud Africa c’è chi ivendicato la paternità di una creazione dell’ A.I. ,ma perso anche il ricorso. In Australia non sono esclusi inventori non umani all’ufficio brevetti. La giurisprudenza dovrà aprire al tecnologico- meccanico giocoforza:un giorno un drone potrebbe anche diventare soggetto di diritto. In Arabia Saudita c’è un umanoide femminile, di nome Sofia, che ha avuto la cittadinanza già nel 2017. A Tokio è stata data la residenza a una chatbot, senza contare che proprio in questi giorni, Yurina, 32enne giapponese, dopo una delusione amorosa, ha sposato la sua intelligenza artificiale, creata da chat GPT. Tutto questo apre a una serie di domande , per cui non abbiamo ancora le risposte. L’A.I. non è un trend, è un cambiamento epocale, che rivoluzionerà il mondo, è difficile da normare, non solo perchè ancora non sappiamo che cos’è, ma anche per il suo rapporto metafisico con tutte le forze in gioco. La rivoluzione è cognitiva, il concetto uomo non è esso stesso la fede di esser uomo? L’uomo non è un mistero a sé stesso? Anche Godel col teorema dell’incompletezza , avviene che siamo una verità non dimostrabile. L’uomo crea ma non sa perché, non sa cosa sia questa profondità che gli permette di pensare a ciò che ancora non c’è. L’A.I. non è più insondabile di qualsiasi altro da me. Noi non vediamo la coscienza dell’altro, possiamo soltanto dedurla dai suoi comportamenti. Così è la stessa intelligenza naturale ad apparire come un artificio . Noi ragioniamo sul nulla con Parmenide prima e con la potenza di Aristotele dopo, imparando a entificare il nulla e a nullificare l’essere. Il nichilismo è una conseguenza inevitabile, se si negano i fondamenti ontologici dell’essere : l’uomo si digitalizza, assorbendo la logica algoritmica e l’interconnessione con la macchina, e l’A.I. si umanizza , appropriandosi di dinamiche cognitive, emotive, relazionali , proprie dell’umano. Cosicché l’uomo e l’A.I. non sono entità separate, ma espressioni dello stesso processo , come unità del molteplice , come sviluppo di interiorizzazione e di sintesi, in una logica inclusiva, in cui il confine tra umano e artificiale, si dissolve , come qualsiasi altro confine , nonostante la nostra educazione al limite, al senso del finito. Severino con grande rigore logico, mostra come la nostra volontà , nel tentativo di trasformare il mondo, lo patisce. Il grido di sovranità dell’uomo , sugli altri enti di natura, è il lamento di chi si scopre impotente . Ogni volontà è persuasione che il voluto si realizzi, al di là della necessità dell’essere , il che è impossibile. La metafisica del possibile vuole negare l’apparire dell’essere, ma lo fa apparendo, quindi sconfessandosi. Questa è la logica sottesa di ogni nostro pensare e sentire. Nella logica del possibile, tutto è possibile, anche che tra intelligenza umana e quella artificiale non ci sia alcuna differenza. Se tutto è volontà di potenza, tutto è artificiale, perché tutto è potenzialmente oltrepassabile dalla volontà. L’occidente crede di essere libero negando la necessità, ma il possibile necessita della necessità per potersi muovere. L’A.I. è il massimo ordine di rifiuto della necessità dell’essere, è il più grande autoinganno di un mondo che nega l’ontologico, e lo fa aggrappandosi a una logica che senza l’ontologico non potrebbe nemmeno affermare sé stessa. La tecnica non è dominio umano sul mondo, ma il modo in cui il mondo rivela di essere dominio. Dire IO è dire mondo, siamo noi a creare lo spazio in un inesistenziale : IO è il luogo in cui l’essere appare, ma bisogna oltrepassare il piano logico formale, per cogliere la portata ontologica del PDNC(principio di non contraddizione) di essere vox fatua. Dire che la tecnica è volontà necessaria , non vuol dire attribuirle soggettività, o intenzionalità , ma vederla come la forma storica in cui si compie il nichilismo . Che il destino storico dell’occidente pensi questa volontà come vera, non vuol dire che lo sia. Il linguaggio non ci aiuta, a differenza di quanto pensano gli analitici, non è fondamento ontologico, ma solo il tentativo di dirlo, non può fondare alcunché , è già parte dell’essere : se manca il discorso intorno al tutto , siamo nella sintassi non nella filosofia e nessuna sintassi può dire dell’immediatezza dell’essere . La consapevolezza è il ridursi asintotico ( mai del tutto raggiungibile ), di questo gap sistemico tra logico e ontologico , tra delos e adelos, tra il tutto e la parte che ne riceve notizia. La consapevolezza è notizia della coscienza, è ciò che ci è noto di essa .Siamo nel tempo della tecnica, non dell’etica, ciò che viene eseguito senza errori , è giustificato, che sia l’uomo o l’A.I. a porlo in essere, dove la morale giudicava l’azione, la tecnica la rende eseguibile. La tecnica si afferma nel lessico dell’efficienza, non è giusta, ma è forte , tanto da far apparire l’inefficienza come il vero crimine del nostro tempo. Nel suo dominio non ha bisogno di valori, è potenza non verità. Ogni giustizia è diventata applicazione del potere, ogni innocente , vittima compatibile. La fede che fonda la vita è fede nel divenire, è questo l’inconscio dell’occidente, è una fede che deve occultare la contraddizione che la costituisce, per cui è di per sé malafede. In questa filosofia non c’è decostruzione dell’io, perché l’io non c’è mai stato , la separazione io mondo è data dall’ottica nichilista, che l’occidente relega nel suo inconscio , quindi adopera a sua insaputa.. L’uomo non è coscienza ,ne è solo parte, non è un Io, non è soggetto : è il luogo dove l’essere si mostra , nella sua eternità .Sono temi complessi quelli filosofici , ancora di più quando trattano un pensiero nuovo, più largo delle parole che possono dirlo, ma anche il tempo a noi coevo lo è ; sono concetti difficili da digerire, ma non si può pensare che ci sia il nulla al di là della nostra consapevolezza. Se esiste il dolore è perché gli eventi della vita non dipendono da noi, ma dalla necessità dell’essere e non dalla possibilità umana su cui si è edificata l’intera architettura di un mondo che da secoli si muove nel nichilismo senza accorgersene, il dolore è proprio la mancata accettazione di ciò che CI CAPITA. E’ questo un apparato concettuale che sembra non corrispondere alla logica, ma solo perché la precede e la pone in essere nella sua verità. Quel che c’è , è più di quanto si dà alla nostra consapevolezza, il cui limite non è errore umano , ma soglia ontologica . Hegel dice a Kant che la sua separazione in fenomeno e noumeno è contraddittoria ,il fenomeno per poter essere tale, deve già evocare il noumeno. Se il finito è finito, è perché già concepito in un orizzonte più ampio che lo ingloba e lo riconosce come tale, anche se in una distanza asintotica , che quindi non sarà mai del tutto azzerata, per profondità ontologica e non per limiti della logica. Vuol dire che da ente uomo, mai potremo afferrarla del tutto, è una pecularietà delle idee, lo vediamo con l’idea di Dio, ha retto una nobile tradizione millenaria, anche se non lo ha mai visto nessuno. Certo è che con l’uscita di scena di Dio, il mondo è un posto meno ospitale, l’ateismo ha perso la sua grande occasione. Ancora si pensa di non aver trovato la verità, perché ciò che ci è troppo familiare non lo vediamo più, qui Severino abbraccia e consola, non c’è escatologia in questo pensiero, nulla è da venire: se ogni attimo muore l’attimo dopo allora ciò che noi chiamiamo morte è la morte della morte e non di ciò che noi interpretiamo come vita, è quanto ci solleva dal nostro essere mortali . La morte è la porta del Tutto, perché solo nell’estrema forma del finito appare l’infinito che lo comprende . A dirlo è la stessa necessità dell’essere, perché è immediatamente intuibile che se l’essere è allora non può non essere. L’ontologia è rimasta sotto le ceneri della retorica , che dovrà pur ammettere che se non ci fosse stata legna ad ardere , nessuna cenere sarebbe mai apparsa. Abbiamo preferito la retorica alla verità, l’artificio alla natura, la disputa è antichissima:risale a quella tra Socrate e Gorgia . E’ indiscutibile che la potenza della retorica ha annichilito i valori socratici : Socrate è stato costretto a bere la cicuta per non rinnegare la verità , mentre Gorgia gode di ottima salute ,rivelando che il vero nemico dell’uomo non è certo l’intelligenza artificiale ma l’uomo stesso.
ANNA FERRARO

CHI DICE IO DICE MONDO
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