Caro Direttore,
la teoria evoluzionistica ci insegna che il bisogno agisce sulla struttura dei viventi modificandone ed alterandone i tratti per finalizzarli al proprio soddisfacimento. Essa non nega una primigenia fonte “creativa”, ma le si adatta, spiegando razionalmente i continui, impercettibili per la loro lentezza, cambiamenti che riguardano l’intero universo. E’, in fondo, una ottimistica legge “di vita”: nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Ho avuto la fortuna, nella mia formazione professionale, di avere come docente di Anatomia, un grande scienziato, Gustavo Lambertini, che era anche un grande “umanista” e un fervente cattolico: apparteneva ad una famiglia che aveva dato alla luce un grande Papa, Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini. Morto nella seconda metà del 1700, fu un papa “illuminato”, precorrendo i tempi del futuro movimento di pensiero che poi cambierà il mondo.
Le sue lezioni non erano sterili esposizioni scientifiche, ma conferenze ricche di spessore umano come solo gli umanisti sanno sentire e spiegare.
Così ci spiegava che l’uomo è il solo animale a possedere una curvatura all’indietro del rachide cervicale (una lordosi) e quindi il solo animale a poter alzare tutto il capo a guardare il cielo alla ricerca del sole e del suo creatore!
Ma oggi l’uomo non guarda più in alto: preferisce abbassare la testa per immergerla in quel diabolico strumento che è il “telefonino” e rimanere per ore ed ore in quella posizione. Così col tempo sparirà lentamente quella lordosi cervicale, si trasformerà in “cifosi” (curvatura anteriore) e l’Homo da “erectus” tornerà “curvatus”. Una involuzione paradossalmente generata dal… progresso!
A farlo notare un grande scrittore, Alessandro D’Avenia, in un trafiletto di prima pagina sul Corriere della Sera.
Un processo più che mai evidente in questo periodo dell’anno, quando “Primavera d’intorno brilla nell’aria e per li campi esulta, sì che a mirarla intenerisce il core” come cantava Leopardi. Noi non ci fermiamo più ad ascoltare “greggi belar, muggire armenti” o a guardare “gli altri augelli contenti” che “per lo libero ciel fan mille giri”; no, noi abbiamo lo sguardo fisso sul telefonino e la testa innaturalmente china! Ci estraniamo barbaramente dal mondo che ci circonda.
Conclude D’Avenia, sottolineando che il fine della vita è la gioia: “per questo un giorno ci alzammo in piedi. Per questo ogni giorno ci alziamo in piedi: per essere all’altezza (se all’altezza non rinunciamo per un telefono) della gioia che ci aspetta e che ci spetta)”.
Ritorniamo, se ancora possibile, ad essere uomini. “Erecti”, naturalmente.
Claudio Gliottone