Costruito di recente, bianco e senza una crepa, quel muro sembrava un foglio strappato da un album da disegno. Cocci di bottiglia colorati, posti in cima a protezione, conferivano un aspetto minaccioso, spezzandone tuttavia la monotonia, unico segno di vita. Le persone che abitualmente passavano per quella strada vedevano, più che un muro, una sorta di barriera che nascondeva ai loro occhi un paesaggio che immaginavano dovesse essere bello e prezioso. Accadde tutto in una sola notte. Al mattino gli stessi passanti si accorsero che il muro sembrava avesse preso vita: un murales sostituiva il gelido candore di una colata di cemento. Improvvisamente non apparve più a nessuno come una barriera, e gli occhi si abituarono presto a quei colori e a quello strano disegno dall’insolita forma, indecifrabile.
Nei giorni successivi apparvero sul muro altre immagini: cuori spezzati da una freccia, numeri di telefono, nomi e frasi, e anche una piccola poesia che finiva con le parole “sempre e per sempre”. Incuranti degli impegni e del tempo che passava c’era chi si fermava a guardarlo per alcuni minuti. Altri invece, ignave vittime di una vita frenetica, camminavano in fretta, lanciando sguardi distratti a ciò che i loro occhi percepivano né più e né meno come macchie di colore. La signora con i tacchi a spillo e l’abito a fiori rimase incantata dalle sfumature d’azzurro così sapientemente assortite. Cambiava continuamente il punto di osservazione spostandosi ora a destra ora a sinistra. “Chissà chi ha disegnato questo murales? Sicuramente un amante del mare, un animo sensibile, un artista”, ripeteva tra sé sempre più incuriosita. Quindi andava via con passo deciso. Dopo alcuni metri immancabilmente si girava, lanciando un ultimo sguardo al muro. Ancorata nei suoi occhi, restava però l’immagine di una bambina che, sulla spiaggia, guardava una barca di pescatori nelle cui reti erano rimasti impigliati una stella marina e un piccolo pesce luna. L’uomo con la giacca di velluto amaranto riconobbe in quell’azzurro gli occhi di sua madre, una donna che dominava la sua vita e avrebbe potuto vendergli l’anima. Vide lo sguardo implorante di chi non riesce più né a vivere né a morire, colpevole per avergli dato la vita solo per rubarne la giovinezza. Si perse nel conto di quanto della sua esistenza avrebbe dovuto ancora dedicarle.
Proseguì il suo cammino a passo veloce, con la testa abbassata; lei lo stava aspettando a casa, in un letto, reclamandone come sempre la presenza. Da un’auto la bambina indicò a sua sorella la bambola disegnata sul muro. «Guarda che bella, ne ho vista una identica al negozio di giocattoli», disse con gli occhi che le brillavano di gioia. Suo padre fermò l’auto; si affacciò dal finestrino e gli parve di vedere il cielo, lo stesso cielo che nei sogni gli permetteva di volare senza ali. Riconobbe l’azzurro, il colore della speranza nel quale i suoi occhi si perdevano, pur nelle notti buie, e provò la stessa meravigliosa sensazione di leggerezza e libertà. L’attenzione di due ragazzi innamorati, si fermò davanti ai cuori trafitti da una freccia, credendo di vedere i loro nomi, mentre l’uomo di colore che si era fermato riconobbe, in una piccolissima parte del murales, le dune del suo deserto e un campo di pomodori da raccogliere. Accadde tutto in istante. La nuova colata di cemento, candida, venne buttata sul muro che ritornò, in pochi minuti, ad essere una barriera tra la strada e qualcosa da custodire e nascondere ad occhi indiscreti. Ritornò ad essere un grande foglio bianco incapace di donare emozioni, vivere sogni, ricordi e desideri. Una ragazza con gli occhi di volpe, nascosta dietro l’angolo della strada, guardò il muro e poi nel suo zaino.
Estrasse alcune bombolette spray e scelse il colore rosso.
Gabriela Di Gennaro