…che poi, a ben vedere, non è proprio tanto nuova; anzi io credo che abbia flagellato l’Umanità sin dai tempi della pietra: il torcicollo …emotivo!
L’aggettivo chiarisce subito che non stiamo parlando di una affezione “organica”, ma “psichica”, direi ideologica, sensitiva, umorale: in uno “emotiva”, appunto!
Affligge persone che hanno superato i cinquant’anni ed è ingravescente nel tempo fino a provocare deliri di sparizione dalla realtà in toto, o, perlomeno, da quella sociale attuale. Si manifesta inizialmente con farfugliamenti vocali detti a mezza bocca e poi ripetuti sempre più spesso, magari con toni più alti e frequenza maggiore, del tipo “ai miei tempi”, “una volta era diverso”, “noi non abbiamo mai fatto questo”, “molte cose non ce le siamo mai permesse” e via di questo passo; poi, con l’avanzare dell’età, crea disagi psichici, come il sentirsi attivamente impotenti non solo a stare al passo con i tempi, ma a farsi comprendere dai più giovani e sovente anche già dai meno anziani. Non è letale per il fisico, si badi bene, ma lo è per la mente, perché porta inevitabilmente al rifiuto di reagire, ad un chiudersi in sé stessi, a godere di ricordi, e ad evitare contatti e contraddittori, perché li vedrebbero sempre perdenti. Segni fisici della malattia non ve ne sono, ma, in sostanza è come se si avesse un doloroso “torcicollo” che ti fa vivere con la testa girata di lato, se non proprio all’indietro: e qui i gradi di rotazione del capo sono decisivi per la gravità o l’evolversi della malattia. Si va dal tenere il collo girato per “non” guardare avanti o per “voler guardare indietro”; tra le due cose, capirete, esiste una sottile differenza.
A provocare la malattia, endemica e diffusiva, è sempre, anche se non lo si vuole, il comparare il presente al passato ed il trarne conseguenze che, per i più disparati motivi oggettivi e soggettivi, sono quasi sempre tutte negative, specie per le aspettative che prospettano.
Questo è un terribile handicap del quale è difficile liberarsi; lo si potrebbe attenuare solo pensando che abbiamo vissuto anche noi il tempo durante il quale guardavamo avanti, liberi da quel torcicollo che invece tormentava quelli che ci precedevano e guardavano a noi come noi guardiamo oggi a quelli che ci seguono. E fin qui nulla da eccepire: è naturale che la vita cambi e che evolva. Che cambi è un dato certo; che evolva genera qualche dubbio.
Gli è che prima tutti i processi evolutivi si svolgevano per tesi, antitesi e sintesi sempre e soltanto nell’ambito della “umanità” nella accezione più pura di essa: pensatori, filosofi, politici, musicisti, imprenditori, operai, professionisti, cambiavano con le loro opere, fatte di creazioni, di idee, di scontri, di iniziali incomprensioni, la vita di tutti, ma sempre nel pur vasto campo della “umanità”: oggi, invece, esiste uno scontro esistenziale tra “umanità” e “tecnologia”, e la prima è già palesemente soccombente.
Se si pensa che l’uomo ha impiegato milioni di anni per trasformarsi in “uomo eretto” e poi riuscire a staccarsi da terra sul traballante aereo dei fratelli Wrigth e invece solo sessant’anni per passare da quell’aereo che volò solo per pochi metri a metter poi piede sulla luna, c’è da stupirsi non poco.
Se si pensa che appena cinquant’anni fa effettuare una telefonata da una città all’altra (una “interurbana”!) era impresa epica mentre oggi con un apparecchietto tra le mani si può parlare, guardandosi in faccia, da dovunque con tutto il mondo ed in pochi secondi, allora ci si rende conto della imparità dello scontro uomo/tecnologia.
Perché, invece, per passare da Omero a Dante, o da Pitagora a Galileo, o da Eschilo a Shakespeare, o da Platone a Kant ci son sempre voluti centinaia e centinaia di anni?
E’ anche normale che questo sia accaduto e che continui ad accadere, perché la attuale “globalizzazione” diffonde le nuove conoscenze scientifiche e stimola interi popoli ad approfondirle, a modificarle, a perfezionarle e a creare nuovi strumenti nel fallace fine di migliorare, con esse, anche la vita dell’uomo.
Ma non sempre è cosi, perché l’ingrandimento tecnologico si espande anche in settori di danneggiamento dell’uomo, in armi più sofisticate e potenti, in mezzi di aggressione più invasivi e distruttivi, come dimostrano gli ultimi avvenimenti mondiali.
Sono questi i momenti in cui la tecnologia inizia a distruggere sé stessa, non favorendo l’uomo, il “singolo”, ma attaccando più facilmente l’uomo “massificato”, dopo averlo reso tale con le sue precedenti iniziative pur intenzionalmente positive: sì perché la intercomunicazione sociale non è tesa, come potrebbe apparire, a stimolare nell’uomo capacità ed identità di pensiero e di azione, ma solo adeguamento ad un modo di vivere impersonale, quello della massa.
Né credo abbia portato a buon fine l’ideologia trionfante del secolo scorso, quella di “educare le masse”; i regimi politici che sostenevano queste tesi sono stati cancellati dalla storia. Per dirla breve credo che una “massa di educati” sia molto più valida ed efficiente di una “massa educata”.
Non si cambia l’uomo cambiando le regole naturali o legiferando sugli atteggiamenti da tenere nel talamo nuziale: lo si può cambiare solo e semplicemente riportandolo alla sua “umanità”, quella che la tecnologia e le ideologie moderniste gli hanno strappato e continuano quotidianamente a strappargli.
Così, alla fine, tutto considerando, il “torcicollo emotivo” potrà affermarsi non come una patologia ma come unica speranza di salvezza.
Claudio Gliottone
SCOPERTA UNA NUOVA PATOLOGIA
LA VITA È BELLA.
MUSEO SCUOLA CERCA CASA. 
