Capitolo XXXVl de “I promessi sposi”.
La terribile peste del 1630 a Milano si va attenuando. Manzoni descrive, da par suo, l’ansia di Renzo, che si reca al Lazzaretto nella speranzosa ricerca di Lucia; vi troverà anche Padre Cristoforo, impegnato come sempre a soccorrere cristianamente il prossimo, e Don Rodrigo, impegnato a render conto della sua vita dissennata. Il Lazzaretto era una specie di ricovero, ben lontano, ed in tutti i sensi, dal “Pio Albergo Trivulzio”, dove venivano ammassati gli ammalati di peste in attesa del loro destino, e dove altro non regnava che la “pìetas” umana e cristiana; e dove pure avvenivano guarigioni, e senza l’uso di idrossiclorochina o di respiratori artificiali, e men che mai con la imposizione delle mani, come magari ai giorni nostri qualcuno usa fare per le affezioni da coronavirus.
Renzo, dicevo, vi incontra per primo fra Cristoforo e questi gli indica di seguire una folla di sopravvissuti che, guidati da padre Felice, si apprestano a lasciare il Lazzaretto perché guariti; lo fa ed arriva all’auditorio e scorge sulle scale della cappella, dinanzi ad un “selciato di teste”, padre Felice.
- Rimase tocco e compunto dalla venerabile figura del predicatore; e, con quel gli poteva restare d’attenzione in tal momento d’aspettativa, sentì questa parte del solenne ragionamento.
“Diamo un pensiero ai mille e mille che sono usciti di là – e col dito alzato sopra la spalla, accennava dietro di sé la porta che mette al cimitero detto di san Gregorio, il quale allora era tutto, si può dire, una gran fossa – diamo intorno a noi un’occhiata ai mille e mille che rimangon qui, troppo incerti di dove sian per uscire; diamo un’occhia a noi, così pochi, che n’usciamo a salvamento… Quelli tra questi (ancora ammalati ndr) che ci vedranno passare in mezzo a loro, mentre forse riceveranno qualche sollievo nel pensare che qualcheduno esce pur salvo di qui, ricevano edificazione dal nostro contegno. Dio non voglia che possano vedere in noi una gioia rumorosa, una gioia mondana d’aver scansata quella morte, con la quale essi stanno ancora dibattendosi. Vedano che partiamo ringraziando per noi, e pregando per loro; e possan dire: anche fuor di qui, questi si ricorderanno di noi, continueranno a pregare per noi meschini…” –
Le vittime della peste del 1630 furono migliaia; non so se avessero raggiunto le trentunomila e passa provocate dal Covid19. L’unica cosa che so, e per certo, è che quelle di oggi non “ricevono edificazione dalnostro contegno” e men che mai possono non“vedere in noi una gioia rumorosa, una gioia mondana d’aver scansata quella morte, con la quale essi stanno ancora dibattendosi. “.
I luoghi sono gli stessi, ma la “pìetas” , umana e cristiana, è stata sostituita dall’ apericena sui navigli, dal footing nel parco sforzesco, dallo shopping in via Montenapoleone, dalla insofferente attesa della riapertura di San Siro, dalla serata in discoteca.
Quale “edificazione” potranno ricevere i defunti e gli ancora ammalati e quelli che ancora sicuramente si ammaleranno da questo “nostro contegno”?
Per concludere sempre col Manzoni, al quale suoneranno giustamente ignominia gli “inglesismi” da me necessariamente dovuti usare : “Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo.”
Claudio Gliottone