A tutti i consulenti, informatici, videomakers, grafici, traduttori, lavoratori autonomi e liberi professionisti con partita iva, non iscritti ad albo e non appartenenti a nessuna cassa previdenziale di categoria, a fine anno resta meno della metà di quello che hanno guadagnato.
Chi per esempio guadagna 50 mila euro resta con circa 20 mila euro in tasca e chi arriva a 90 mila si vede volare via più del 66 per cento nella seconda parte dell’anno. Stessa sorte per chi comincia a lavorare con partita iva e raggiunge a mala pena i 10 mila euro, paga il 32 per cento sul netto del guadagno.
La voce che mette in allarme è la contribuzione INPS della gestione separata: partita dal ‘96 con un’aliquota del 10%, e salita negli anni al 27,72%, dal 2014 ricomincerà ad aumentare di un punto percentuale ogni anno, fino a raggiungere il 33%. Anche i lavoratori dipendenti versano il 33%, ma la categoria dei lavoratori autonomi sottolinea che c’è una netta differenza sul calcolo dell’aliquota: il 33% che versano i dipendenti è calcolato sul reddito lordo annuo, mentre quello dei lavoratori indipendenti è calcolato sul totale costo del lavoro.
Secondo Ugo Testoni, copywriter freelance: «Si è arrivati ad una tassazione così alta perché la gestione separata dell’Inps, cassa previdenziale per i lavoratori autonomi, è diventata un mezzo per versare nelle casse dell’Inps quelle risorse che vengono drenate da chi attualmente lavora e non è rappresentato. L’aumento dell’aliquota al 33 per esempio è tra le voci in entrata che andranno a coprire le uscite dell’Aspi, cioè le nuove forme di welfare dalle quali siamo esclusi come lavoratori indipendenti, e che andranno a coprire anche le necessità di cassa per gli esodati.»
Quello dell’assenza della rappresentanza è un nodo cruciale: secondo i lavoratori autonomi questo aumento di aliquota dipende dal fatto di non essere mai rappresentati nei tavoli tra le parti sociali. Anche perché, come ci spiega Anna Soru di ACTA (associazione che è riuscita a bloccare l’aumento dei contributi delle partite iva per un anno) recentemente è stata proprio eliminata la possibilità di avere voce in capitolo: «La legge sulle professioni non regolamentate (l. n. 4/2013) ha definito l’area di rappresentanza: i sindacati, il Colap e la Cna si sono accordati per una norma che consente la rappresentanza del lavoro professionale non regolamentato alle sole associazioni di secondo livello, ovvero a loro stesse. Queste sono tutte organizzazioni che non si rivolgono solo a professionisti autonomi, ma che rappresentano anche lavoratori dipendenti (sindacati e Colap) o imprese (Cna) e che, per questo, spesso hanno obiettivi diversi e in conflitto con i nostri».
Molte delle attività professionali che ricoprono i lavoratori autonomi sono ancora oggi un surplus per aziende ed enti pubblici e non un investimento per migliorare la qualità dei servizi offerti. Ugo Testoni ribadisce che: «Se un ente pubblico prende un consulente per razionalizzare le attività informatiche e migliorare così i servizi ai cittadini, questo è considerato una spesa corrente al pari del miglioramento della viabilità asfaltando una strada. L’ente in questo caso si troverà a scegliere tra l’una e l’altra spesa. È necessario, invece, che le attività di questo genere possano essere imputate agli investimenti e quindi possano essere ammortate e levate dalla stretta del patto di stabilità. Continuando così nessuno sarà incentivato a migliorare la qualità del lavoro e dei servizi per competere a livello internazionale. Oggi ci sono incentivi per acquistare frigoriferi e mobili e non per investire in conoscenza e competenza professionale».
di Antonella Cignarale