“Camminare attraverso fuochi ardenti posti sotto la cenere” Così l’antico poeta romano Orazio definiva l’attività dello storico che scrive di fatti contemporanei , che potrebbe essere ben paragonato al cronista dei nostri tempi. Un attività pericolosa, soprattutto in relazione agli interlocutori e ai referenti politici a cui si rivolge. Sia chiaro, con questa frase non ho alcuna presunzione di proclamarmi depositaria di essa o autoincensarmi con chissà quale titolo culturale e accademico…come ultimamente, invece, non esita a fare qualcuno pur di dimostrare la validità della propria candidatura, che piuttosto avrebbe più efficace e credibile legittimazione nella quotidianità martellante di tutti i giorni, che c’interpella con la sua valanga sempre più tronfia di problemi che rischia di trascinarci tutti quanti, ora come non mai. E’ una bomba a orologeria se si unirà, in questi due mesi di campagna elettorale che già si sta mostrando infuocata, a quello che rischia di diventare un sempre più grande gioco d’interessi, in cui spesso quello pubblico è usato come ammaliatore cartellone pubblicitario per nascondere quello privato. Chi si tira fuori da quest’ultimo viene giudicato inguaribilmente incorruttibile e “super partes”. Ma, di frequente, questi due concetti vengono associati a quello di follia, eversione, solo per la scelta, dettata da pura onestà intellettuale, di andare controcorrente a ciò che accade solo perché ci si oppone a ciò che la massa ha deciso che sia normale oggi. Ma, ricordo, quantità non fa rima sempre con qualità nella vita. Quest’ultima sembra voler essere garantita dallo “sporcarsi le mani” (come avrebbe detto un Platone rammaricato per la politica non equa del suo tempo che non riuscì a cambiare nel mondo greco con la sua “Repubblica”).
A proposito, vorrei richiamare alla mente alcune parole che dedicai a loro qualche mese fa ( scusate se sono ripetitiva, ma l’attualità della situazione mi costringe): “quella gente a cui fino adesso ha fatto comodo tacere e ora si mobilita per schierarsi con una formazione politica o un’altra per le prossime elezioni. E da questa amara constatazione non sono esclusi i giovani: ma prima dove erano finiti? E resta ancora l’enigma dei giovani motivatissimi che pullulano nella nostra città: a patto che la motivazione sia, per come la intendo io, interesse esclusivo per il bene comune e disinteresse per l’ambizione al profitto personale perseguito con mezzi anche illeciti. A patto che non sia adulazione sfacciata e servilismo nei confronti dei “vecchi volponi” della politica a loro agio nel loro paternalimo a cui nessun giovane può sottrarsi se vuole iniziare una brillante carriera politica”. E’ una provocazione ora mettere in pratica ciò. E questo lo si evince proprio da questi giovani che si stanno per affacciare sulla scena politica: si dice di venire dal popolo e di voler servire alle loro esigenze, mentre poi si va vestiti di tutto punto, in giacca e cravatta, osannando le proprie presunte glorie secondo la logica implicita dell’ “io sì, tu no” e preoccupandosi solo, in questo modo di atteggiarsi, di tenere il mento ben elevato all’insù per mantenere sotto controllo tutto e tutti, nelle sedi di partito come nei bar tra lunghe file di caffè offerti ai propri fedelissimi. Ho paura, però, che questi giovani siano solo dei burattini che neanche si accorgono dietro chi li sta manovrando, strumentalizzati solo per restare, pochi fortunati, ancora saldamente in sella al cavallo delle vecchie idee. Dietro la maschera delle loro parole, che rivelano nelle loro sottili pieghe una falsa indipendenza di pensiero, sono abilmente nascosti tutti i vizi ( per lo più invidia e vanità) che Aristotele nella “Politica” additava come fomentatori psicologici di guerre civili. Oggi sono armi verbali, illusoriamente pacifiche e traboccanti un ottimismo surreale, ben celate nel fodero annerito dalla mancanza di morale bugiardamente rivendicata per impossessarsi dello scettro del potere. Insomma, si parla tanto di giovani, ma, fateci caso, non si parla mai di giovani meritevoli anche provenienti dal nulla ( come si dice in gergo). Il politologo Giovanni Sartori , meglio di me, ha riassunto ciò che voglio dire in riferimento alla cosiddetta “eguaglianza di opportunità”, cioè l‘offrire a tutti eguali occasioni di salire sociopoliticamente: “eguali opportunità è un principio di valore: sostituisce la promozione per merito al trovarsi altolocato senza merito, per diritto di nascita o consimile fortuna”.
Non me ne vogliano quelli che hanno ereditato un albero genealogico importante. Pe me, anche loro possono, con competenza, fare politica. Ma prima lo devono dimostrare. Cominciando a lottare contro i dogmi atavici e nefasti di convenienza personale e raccomandazione. Cominciando a trasmettere a tutti una cultura politica, senza la quale non si può lavorare insieme, politici e cittadini. Perché non si potrà mai costruire nulla sulla cultura del niente, male molto diffuso da noi e la cui dannosità più grave è data dall’incapacità di esserne consapevoli, il tutto ulteriormente peggiorato da un superbo egocentrismo da parte di coloro che intendono propugnarla. E intanto, se da un lato non ho ancora un motivo fondato, ma solo l’irriverente sensazione di pensare a una politica di giovani (alias “bravi ragazzi”) che si sta trasformando in una ricorsa forsennata a un ghiotto posto di lavoro che non risparmierà colpi bassi a nessuno, dall’altro s’iniziano a sventolare tante bandiere di rinnovamento che, pur avendo colori, simboli e nomi diversi, sembrano tutte portarci verso la stessa direzione. E allora qual è l’alternativa? Qual è la novità e come riconoscerla, se poi tutti concordano già da ora? Il confronto non ha sussistenza reale se ci si dice reciprocamente “hai ragione”. A questo punto mi azzardo a proporre di creare già da adesso una grande coalizione di liste attualmente avversarie, perlomeno gli elettori saranno certi da subito che non c’è nessun “meglio” da scegliere.
Mi appresto a concludere dando voce a tutti quelli che sentono, a malincuore, sempre più la tentazione di fare le valigie difronte a tali condizioni, quelli che spesso sono i più capaci e che hanno il forte desiderio di contribuire al bene della città, da coloro che hanno una professione già consolidata con gli anni, ai giovani studenti e disoccupati che vorrebbero davvero strappare le pagine più sudicie del passato. Spesso vengono accusati di essere dei vigliacchi, di scappare dai problemi. Dunque, una sconfitta. Invece, per altri non è che l’aprirsi di un varco sempre più imbevuto di luce che presagisce nuova libertà. E, infatti, se uno è capace e non può fare quello che sa fare nel suo paese, ma anzi spesso vede scipparsi a tradimento le sue idee, ditemi, che cos’altro può fare? Perciò, politici teanesi, dategli, o meglio, dateci a tutti una vera alternativa per non andarcene.
Cassandra