“Ô rage! ô désespoir! ô vieillesse ennemie!
N’ai-je donc tant vécu que pour cette infamie?
Et ne suis-je blanchi dans les travaux guerriers
Que pour voir en un jour flétrir tant de lauriers?”
“oh rabbia! Oh disperazione! Oh vecchiezza nemica!
Non son dunque vissuto che per questa infamia?
E non sono incanutito nei travagli di guerra
Che per vedere in un giorno appassir tutti gli allori?”
È lo struggente lamento di Don Diego, uno dei protagonisti della tragedia “Il Cid” di Pierre Corneille.
Il re lo ha designato precettore di suo figlio, suscitando il risentimento di Don Gomez, che durante la disputa, in un impeto d’ira, assesta uno schiaffo a Don Diego.
Il dramma del nostro è incentrato tutto sulla impossibilità di salvare il suo onore a causa della avanzata età: “il mio braccio, che con rispetto tutta la Spagna ammira, che tante volte ha salvato questo impero e difeso il trono del Re, tradisce dunque la mia causa e non fa nulla per me?”.
Chiede allora al figlio, don Rodrigo, il futuro “Cid”, di farlo per lui: “e tu, delle mie imprese glorioso istrumento (si riferisce alla sciabola), ma ormai di un corpo di ghiaccio inutile ornamento…va’, lascia ormai l’ultimo degli uomini, passa, per vendicarmi, in migliori mani”.
Rodrigo, fidanzato con Chimena, figlia di Don Gomez, si trova anch’egli di fronte ad uno straziante dilemma: se non vendica l’onore del padre perderà l’amore di Chimena, perché non c’è amore senza stima; ma se vendica il padre ed uccide quello della fidanzata, questa non sposerà mai l’assassino di suo padre.
In un mondo dominato dall’ onore, due angosce, che si dipaneranno poi lungo tutta la più bella tragedia di Corneille.
Ci piace sottolineare la prima, quella di Don Diego, la cui rabbia profonda si volge tutta intera verso la sua inabilità fisica dettata da una età ormai troppo avanzata.
Non a caso ho tradotto il termine francese “veillesse” con l’italiano “vecchiezza”, dal tono più gentile e non inclusivo degli incomodi che naturalmente affliggono i vecchi: “se di vecchiezza la detestata soglia evitar non impetro” cantava Leopardi.
La vecchiezza ha in sé un qualcosa di nobile, sia pure il solo riconoscimento della sua esistenza e dei limiti che impone al corpo, ma non alla mente. E don Diego esterna tutta la sua lucidità nel prendersela col “braccio che tutta la Spagna ammira” e che ora “tradisce la sua causa” e non fa niente per lui. La ferma volontà è quella di voler continuare ad appartenere ad un alto rango che “non ammette un uomo senza onore”. Ma non eccede, non si getta in un goffo tentativo di dimostrare qualche residuo della sua vecchia forza: sa che non c’è più ed accetta la cosa, chiedendone supplenza a quella del figlio Rodrigo.
Quanto diversa dalla composta e consapevole “vecchiezza” del padre del Cid la “vecchiaia”, questa sì, di uno dei rivoltosi che nel capitolo Xlll dei “Promessi Sposi” assaltano la casa del Vicario di Provvisione!
“Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un vecchio mal vissuto, che, spalancando due occhi affossati ed infocati, contraendo le grinze ad un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di voler attaccare il Vicario ad un battente della sua porta, ammazzato che fosse”
Il “vecchio malvissuto”, contrapposto, altrove, dallo stesso Manzoni alla “decorosa vecchiezza” di Ferrer.
In Don Diego la travagliata accettazione della sua età, nel vecchio malvissuto la “compiacenza diabolica” e la tracotanza di continuare a far del male, nonostante l’età; e di farlo in maniera sempre più plateale, quasi in proporzione inversa alle proprie possibilità fisiche.
L’età avanzata dovrebbe rappresentare il sunto di tutte le esperienze di una vita intera, non ascoltate dalla voce di qualcuno più anziano di noi, come accade per i giovani, ma vissute da ognuno in prima persona, giorno per giorno: dovrebbe essere costellata di pensieri per cose fatte e non fatte, ma senza rammarico; di cose imparate sulla propria pelle e per questo indelebili ed indimenticabili; di cose fissate in un periodo della propria vita e non rinnegate né rimpiante, ma semplicemente accettate; di accadimenti e di comportamenti dai quali si è riusciti a trarre un sia pur banale insegnamento; di maturazione completa di pensiero e di azioni, stemperata dalla grande virtù della tolleranza, in primis verso se stessi.
Che sia vecchiezza per tutti e non vecchiaia; e lo sia fino a quando “il cuore d’un ultimo battito” non farà “cadere il muro d’ombra” (G.Ungaretti).
Mi piace riproporre per “Il Messaggio” questo articolo che scrissi per “Il Sidicino” nel lontano 2015.
Claudio Gliottone