Sabato scorso, di buon mattino, ero comodamente seduto con mia figlia ad un tavolino di un bar poco fuori le mura del Feudo. Non farò nomi, ma vi garantisco che è un ambiente familiare dove il personale ti accoglie con un sorriso. A tutte le ore. Ed iniziare la giornata così, ti mette di buon umore.
Intorno a noi altri avventori. Alcuni di passaggio, altri habituè. Ed è proprio verso di loro che il titolare dell’esercizio rivolge la sua attenzione, uscendo dal locale e con il dito puntato esclama: “dove sono oggi? Non si vede nessuno!”. Inizialmente non capisco, poi comprendo che sta parlando degli acchiappavoti; personaggi tra lo squallido ed il miserabile, che per un anno intero non escono mai di casa, per poi magicamente trovare la forza di farlo nel periodo elettorale. Pronti a tutto per racimolare l’ultimo voto, sarebbero capaci di vendersi pure la mamma. Sono in ogni dove.
Sono gli stessi che nelle giornate del voto, organizzano dei veri e propri posti di blocco in prossimità dei seggi, in barba alle più elementari regole di silenzio elettorale e/o rispetto degli altri. Restano a piantonare quei luoghi per tutta la durata del voto, annotandosi chiunque passi da quelle parti. Sono sicuri di conoscere il voto di ciascuno. In qualche caso, forse, riescono anche a pilotarlo. Salutano tutto e tutti, al punto che le loro mascelle dopo le elezioni necessitano di un’accurata manutenzione. Mai una gioia per loro. Mai un momento di felicità. Vivono nella speranza che il loro Mangiafuoco vinca, o per dirla tutta, salga sul carro dei vincitori. Non importa quale bandiera abbia. Per loro, l’importante è che salga. Così da perfetti burattini, si muovono sul palco elettorale, destreggiandosi tra i vari Pinocchio di turno. Incuranti di capire cosa sia la felicità. Vivono sempre sul chi va là, e si guardano intorno sempre con la paura di chissà che cosa. Bah! Valli a capire.
Per fortuna, su uno dei vari gruppi WhatsApp che ho, è arrivato un messaggio:
Ma come fate a non amare l’autunno?
Arriva il fresco, smetti di sudare,
le zanzare si levano finalmente dalle scatole;
le caldarroste;
guardare la pioggia mentre sei in casa al caldo,
Non vedo l’ora.
L’autunno non è stagione, è la felicità
In questi giorni, saranno state le 17.30, sono andato da un amico a Carbonara. L’ho raggiunta da Borgonuovo, risalendo per Versano, fino ad arrivare al bivio di Casale. Quindi ho proseguito in direzione di casa del mio amico. Un intero percorso immerso nel verde, attraversando quei castagneti già belli e pronti per il raccolto. In alcuni tratti, la vegetazione si chiude su se stessa, formando quasi una galleria, dove i raggi del sole faticano ad entrare. Quelli che riescono, disegnano uno scenario fantastico, che il resto del mondo ci invidia. Amo quei luoghi. Mi rilassano.
Al rientro verso casa, ho attraversato, Casale, Gloriani, Furnolo, Tuoro. Un altro salto nel verde, lontano dai rumori. In lontananza, si vedevano diverse colonne di fumo provenienti da quei castagneti. Mucchietti di foglie secche, misti a ricci, bruciavano lentamente, mentre nell’aria quel profumo di castagne inebriava chiunque. Quasi all’imbrunire. Uno spettacolo eccezionale. Mi sono fermato ed ho abbassato il finestrino, per assaporare quell’odore inconfondibile. Come un bambino.
Ditemi quello che volete, ma non ho resistito. Ultimamente, il mio cassetto dei ricordi si riapre alla prima occasione. Questa volta, quell’odore mi ha riportato indietro nel tempo, quando da ragazzo, in autunno rientravo a casa la sera e dopo aver varcato il portone d’ingresso, sentivo quello stesso odore. Man mano che salivo le scale, quell’odore diventava sempre più forte. E così, dal primo al sesto piano, era un’unica corsa, saltando gli scalini a due a due. Entrato in casa, mi assaliva una tempesta di fumo, che ormai era penetrato dappertutto. La cucina, era peggio della val Brembana, avvolta nella nebbia.
Nonostante il freddo, la finestra del balcone spalancata. Lei, mia mamma, in un angolo intenta a borbottare qualcosa. Lui, mio padre, ai fornelli, con la classica padella bucherellata ed un mestolo tra le mani. Girava e rigirava quelle castagne che in precedenza aveva inciso ad una ad una. Tutto fiero, le toglieva dal fuoco una alla volta. Ci preparava le caldarroste. Quella era felicità. Non vedevo l’ora di aprire quelle castagne, incurante del fatto che le mie mani si sarebbero annerite di lì a breve.
Spettacolo nello spettacolo. Quelle castagne arrostite, per farci sentire ancor di più felici, finivano in dei cuppetielli di carta, rigorosamente di settimanale. Ed il ricordo di quel profumo s’intreccia in quello di quei cuppetielli che, per pochi spiccioli, venivano venduti la sera per il corso. Ho provato a chiedere “sul gruppo” i loro nomi di quelle signore. Dopo qualche minuto, quella che io ormai ho promosso sul campo a my older sister, ????, sapendo che sono un appassionato del recente passato sidicino, senza pensarci due volte mi ha regalato questo momento di felicità, aprendo il suo cassetto dei ricordi:
“Come si chiamavano non me lo ricordo, ma stavano per il corso dove ora sta “Baffone”. Accendevano fuori la porta una carbonella che sventolavano con un cartone trasformato in un grosso ventaglio, a cui era attaccato un manico di scopa. Erano zitelle: una gestiva il negozio “For Lady”. Avevano un gatto che si chiamava “Gennarì”. Pure lui stava sempre nel negozio. Facevano pure i lupini ed i fiori di zucca e ogni mattina partivano da casa – abitavano in quelle palazzine sotto le scalette dove sta la Madonnina – Due vestite molto semplice, l’altra mi ricordo sempre elegantissima, con collane molto vistose. Vendevano anche i carboni”
La sera, guardandomi allo specchio, mi rivolgo a quel mio me: “Chiedimi se sono felice” gli dico. Poi penso a quelle castagne, ai miei Amici e trovo la risosta:
Questa è felicità, non quella di Mangiafuoco il burattinaio
FeudoDiViaAnfiteatro, Settembre MMXX
Luciano Passariello