Caro Direttore,
trascorso il giusto tempo ed espediti tutti i legittimi interventi politici e democratici finalizzati alla denuncia del pietoso stato in cui da un punto di vista ambientale, sociale ed amministrativo versa il nostro paese, credo sia giunto il momento di tirare le somme dei risultati ottenuti e di prendere con coraggio e convinzione le dovute decisioni. Stare a descrivere ancora una volta le ulteriori enormi ferite che Teano, già agonizzante da decenni, ha ricevuto da una Amministrazione inconcludente e raffazzonata, messa su da i soliti improvvisati strateghi senza alcun nesso costruttivo, nella perfetta ignoranza delle capacità umane di uomini e donne il cui merito era, per i più, solamente quello di “essere figli d’arte”, farebbe solo figurare la vista di tanti “maramaldi” che si sono divertiti, ed, ahimè, ancora si divertono ad uccidere un uomo morto. Si tratterebbe di un altro drammatico “infandùm renovàre dolòrem” che angosciava certo di più Enea, il quale lo aveva vissuto sulla propria pelle, che non la regina Didone, desiderosa solamente di conoscere la storia della caduta di Troia e dei sette anni di peregrinazioni del suo eroe. Ma qui, a Teano, di eroi non ce ne sono, perché nessuno, tranne i pochi che si contano sulle dita di una mano, dimostrano nei fatti di avvertire un “dolòrem” per la situazione “stercoracea” in cui si trovano e nella quale sempre più si immergono. Oppure ne parlano, qualcuno ne sbraita, ma nessuno, e ribadisco nessuno, men che mai di quelli che hanno il potere di farlo, osa prendere una gloriosa decisione. Non fanno altro che continuare nella vergognosa pantomima di far credere di protestare, di non essere d’accordo, di distaccarsi dai maggiori responsabili della catastrofe locale, per poi riprendere ad assecondarli, guidati il più delle volte da un deprecabile e non più manco velato interesse personale. Si prendono e ci prendono per il sedere. E la maggioranza di noi è contenta! Vivaddio! E allora, amabile Direttore, perché continuare a parlare di edifici scolastici pericolosi e pericolanti, di strade da terzo mondo che si allagano alle prime piogge, di fogne che scoppiano come bubboni pieni di pus, di infinite risorse perse negli anni e molte proprio negli ultimi, di una macchina amministrativa che non funziona, o lo fa malamente, anche nel rilascio di una banale carta di identità? Tutto frutto di svariate cause che vanno dalla incapacità all’ignavia, dalla presunzione alla disattenzione, dalla protervia alla incompetenza, dalla pienezza di sé alla interessata adulazione. E nessuno, per primi i giocatori, si convince che quando una squadra perde ogni partita per tre anni di seguito, è inutile cambiare schieramento, o tattica di gioco, o far ricorso alle riserve: bisogna cambiare tutta la squadra. Ed al più presto; per evitare altre perdite, come i milioni di euro richiesti in danno dalla Gesia per una vicenda giudiziaria sicuramente gestita male. Tutto ciò considerando, mio caro Direttore, apprezzando tutto quello sin qui fatto da te, dal giornale che dirigi, da quei pochi che citavo prima, ai quali nessuno mai potrà negare che appartenga anche io, non mi resta che dare un suggerimento. Di fronte a tutto questo, alla disamministrazione continua della città ed alla noncuranza fattiva dei suoi concittadini, consiglierei di far vostra, tua e dei pochi coraggiosi, la frase pronunciata da Clarke Gable nel film “Via col vento”: di tutta questa immane tragedia cittadina “francamente me ne infischio!”. Anzi cordialmente direi, vista la immodificabile situazione: “francamente me ne … fotto!!!!!”.
Poi, fai tu!
Claudio Gliottone
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Carissimo amico Claudio,
non posso non rispondere alla Tua lettera accorata, colma di dispiacere, se non rancore, nel vedere la nostra Città stuprata, calpestata, offesa e vilipesa. Nel fare ciò, ricorderai come in alcuni nostri fugaci incontri, più volte ti divertivi ad ascoltare le mie teorie intorno a tale indicibile situazione. Da persona democratica, garbata ed intellettualmente (e non solo) onesta quale sei, accoglievi con perplessità le mie analisi sui dati di fatto che io, e solo io, me ne assumo tutte le responsabilità, attribuivo a delle mie teorie sull’antropologia. Scienza che Tu ben conosci. Avrai letto nel mio ultimo della domenica appena trascorsa, descrivendo la drammatica situazione, di come mi sono espresso: ”Come definirlo questo comportamento? A noi, ci sovviene alla mente solo una immagine “rappresentativa”, quasi una vignetta satirica. Un popolo immerso totalmente nello sterco con a malapena il naso fuori per respirare e la bocca per mangiare. Tutto il resto del corpo imputridito nel letamaio. Quasi un’assuefazione ed una raggiunta area di comfort permanente ad uno status quo ante”. Orbene, una riflessione, tutta personale, che fa il paio con la Tua ”Di fronte a tutto questo, alla disamministrazione continua della città ed alla noncuranza fattiva dei suoi concittadini….. vista la immodificabile situazione: francamente me ne … fotto!!!!!”, onde lenire, per quanto mi è possibile, le tue dolorose contorsioni mentali intorno a degli amletici perché, provo, oltre, alla mia personale analisi antropologica, a fornirtene un’altra di ordine sociologico-statistico. Quest’ultima è frutto della mia quotidiana attività professionale e che deve, per forza di cose, rifarsi a dati certi e documentati. Dagli ultimi dati statistici, come Tu saprai, ben oltre la metà della popolazione italiana risulta essere semianalfabeta, senza contare l’analfabetismo di ritorno. Come Tu saprai, “da tempo siamo di fronte ad un fenomeno drammatico che caratterizza la fascia tra i 18 e i 35 anni e che in Europa è stimata con il 5,4 % della popolazione giovanile, indice che in Italia si duplica all’11%, di cui il 70% in Campania con una grave ripercussione sulla Provincia di Caserta”. Dati questi che si riferiscono al fenomeno dei NEET, Not in Employment, Education or Training”, cioè “Non lavora, non studia, non si aggiorna“, dramma di una fascia generazionale. Bene, antropologia, situazione sociologico-statistica, pare ce ne sia abbastanza per dirci: “facciamocene una ragione” o, molto più adeguatamente al nostro contesto di analisi: “E’ ‘o popolo che ‘o vo‘ ”. Non è che forse, a causa della nostra onestà intellettuale e di tanti amici, siamo portati ad idealizzare oltre il dovuto tutto quanto ciò che ci circonda? Quindi, perché crucciarsi caro Claudio?
Pasquale Di Benedetto