Verrà la morte e avrà i miei occhi
ma dentro
ci troverà i vostri
E’ la vita che scorre, scappa di fretta, vola talmente veloce che non rimane nemmeno il tempo di alzare le
palpebre, di fare un sorriso, di assaporare una gioia, di rialzare la testa, di pensare al domani. I miei
fratelli, … già… Vittorio e Maria; giovani, vigorosi, sorridenti: così li vedevano le mie pupille, pochi anni fa.
Poi la metamorfosi, il logorio fisico, colmi d’affanno, sofferenti e indifesi; così hanno visto le mie pupille i
loro corpi prima di morire.
Non esiste nulla d’eterno, la mente cerca di consolare, il mio cuore triste, deluso. Ma sapete cos’è
sconcertante? Il tempo che è trascorso così rapidamente, che non me ne sono neppure reso conto, e oggi
mi chiedo se nel frattempo ho vissuto davvero. Ah… quanti rimpianti: avrei potuto fare e non ho fatto, è
l’unica misera certezza, che mi rimane. La vita è un brivido che vola via, cantava qualcuno anni fa; ero
ancora giovane alle armi, mi sembrava impossibile, anni interminabili di addestramento militare, di studio,
pesi come macigni, grigie giornate infinite, passate tra le aree addestrative: “Ma come può essere un
brivido che vola via?” Poi, qualche sera fa, scrutando le stelle, scrutando il destino, scrutando la vita, ho
avvertito il freddo che ristagnava nell’aria, di una qualunque sera invernale; ho messo il maglione, mi
sembra di aver visto il profilo dei miei fratelli passare, senza accorgersi della mia irrilevante presenza, ho
serrato le palpebre e mi son detto: “Possibile che sia già finita l’estate?!” Un soffio di vento, vita che
scorre veloce e i miei fratelli che passano di nuovo, senza vedere il mio saluto appena accennato: “La vita
è veramente un brivido che vola via!”… è l’amaro pensiero, di una stanca e malandata terza età.
E’ proprio vero, quando una persona a cui vogliamo bene se ne va via per sempre…genera un dolore che
non si può cancellare. Possiamo solo affrontarlo, e cercare di fare di tutto affinché non ci devasti. Ma
talvolta ci vuole tanto tempo. E non basta fare “come se” niente fosse successo perché la vita continui
come prima. Perché niente può più essere come prima, e si deve pian piano riuscire ad organizzare la
propria vita in modo diverso.
In realtà quando la persona che amiamo se ne va via per sempre, è difficile imparare a vivere con quel
vuoto profondo che si spalanca all’improvviso. E non basta semplicemente voltare pagina. Non basta
ripetersi che la vita continua e che non serve a nulla piangere. Non basta imporsi di non pensarci… Quel
vuoto è lì. Come una ferita profonda. Che pian piano cerchiamo di far cicatrizzare… Anche se alcune ferite
non si cicatrizzano mai completamente…
Non basta premere sul tasto “cancella” per cancellare veramente tutti i ricordi che ci legano alle persone
care, per distaccarsi da chi non c’è più.
Elaborare la perdita è un’operazione psichica lunga e complessa. Si tratta non solo di accettare la realtà,
ma anche di riconoscere veramente ciò che si è perduto, anche di tutto quello che si sarebbe potuto e
voluto vivere con chi non c’è più. Fare l’inventario di tutto quello che era stato investito, progettato,
auspicato e sperato, e capire che non sarà più possibile realizzarlo. Solo poi, si può tornare di nuovo alla vita, nonostante
la sofferenza che resta quando si capisce una volta per tutte che i ricordi sono solo ricordi.
La morte fa parte dell’esistenza di ciascun individuo, e con essa la separazione dagli altri. Tutto ciò che ha
un inizio prende forma, scandendo il suo percorso nella durata che va verso la fine.
“Inizio e fine”, “nascita e morte” sono punti estremi di una stessa realtà, a intercorrere tra loro una terza
dimensione: il tempo.
La morte dunque è un fatto biologico, i suoi effetti un fatto culturale
. Ogni essere umano prende consapevolezza della morte quando questa dimensione entra in contatto con il
suo mondo percettivo.Murray Bowen, padre della psicoterapia familiare negli Stati Uniti, afferma che non tutte le morti hanno la
stessa importanza. Quando la perdita è significativa, come la morte di un genitore, di un figlio, di un
fratello o del coniuge, la dimensione della morte si sente più vicina: non tanto nel tempo, quanto nel
pensiero.
«La vita, scrive Lidia Ravera, prende luce come alcune cattedrali che prendono luce dal di fuori. In
qualche modo, riesci a valorizzare la tua esistenza solo quando sai che sta finendo; a questo punto, dopo
una vita dedicata al culto del cambiamento, si diventa vessilli della continuità, sentinelle della durata».
Quello che sembra un dramma totale, non è altro che una routine nel ciclo della vita. Passato il momento
del dramma e dei pianti ipocriti, tutto riprende come prima. Restano solo i ricordi, i cortili dove si giocava
da bambini, i sogni mai realizzati, la fantasia e per finire la beffa. La morte che sembra essersi presa
proprio una persona che amava la vita, che era viva, che manifestava apertamente il suo entusiasmo per
le cose. Ma alla fine anche questo poco conta, il ciclo della vita ricomincia il suo percorso e ci cancella
dalla memoria, come se non fossimo mai esistiti.