Il nostro paese investe solo lo 0,5% del PIL in ricerca, eppure sono stati dei ricercatori, precari, dell’ospedale Spallanzani ad isolare il virus. La sanità pubblica nazionale, chiamata a fronteggiare l’emergenza legata al Covid-19, è sottoposta da anni a continui tagli e precarizzazione, ecco perché questo coronavirus ha evidenziato le debolezze di una politica di deospedalizzazione che ha prodotto il taglio di ben 40.000 posti letto; evidenziato la carenza di personale, che durante questa emergenza svolge turni di lavoro inumani. Il blocco del turnover del personale ha determinato un calo di 50 mila unità, mancano soprattutto infermieri. Altra grande debolezza: la regionalizzazione della sanità che prevede l’autonomia per ogni singola regione in materia sanitaria. Eppure, la nostra sanità pubblica non si è mostrata impreparata a fronteggiare quella che nel giro di poco tempo è diventata una vera emergenza sanitaria. Ma nell’era della paura da contagio, ci dimentichiamo le violenze contro gli operatori, gli infermieri, e i medici, ed è in queste situazioni che il sistema sanitario pubblico diventa necessario. Ed è in un clima di paura che i medici vengono rispettati come uomini e come professionisti. Ma quando tutto sarà finito? Quando la paura lascerà il posto alla normalità, torneranno le violenze contro gli operatori, gli infermieri, conto i medici? Torneranno le notti di distruzioni nel pronto soccorso? Ma detto ciò, il problema principale è legato al disinteresse politico nei confronti della sanità pubblica. L’emergenza ci dà l’occasione per riflettere su due fattori: sulla necessità di un potenziamento della sanità pubblica, l’unico modello di sanità utile alla collettività; e sulla fortuna di vivere in un Paese dove il sistema sanitario è pubblico.
Sara Finocchi