MILANO – Messaggio invitante. «Gentile cliente, la informiamo che dal 15 giugno nella nostra boutique si terrà una vendita privata con uno sconto speciale sulle nostre collezioni. La aspettiamo!». Furbi (o disperati), i negozianti milanesi. Si guardano bene dall’usare il termine incriminato – e cioè «saldi» – ma di quello stanno parlando. Aggirano la legge che blocca le promozioni nel mese che precede le offerte e propongono sessioni di shopping per (dicono) pochi. L’anno scorso non erano necessari certi giochetti: in Lombardia il divieto era stato fermato in nome della deregulation . Da una settimana, riecco il vecchio regime. La crisi ha fatto il resto: via al saldo selvaggio.
«Pirati» dell’offerta e rispettosi delle regole, negozianti strozzati dai debiti e surfisti delle promozioni.
Tutti contro tutti. La polemica si inserisce in una stagione drammatica per i commercianti lombardi: tra pioggia, basse temperature e crisi, a Milano e in molte città della regione le vetrine dell’abbigliamento hanno ridotto i ricavi anche di un quinto. Il confronto tra il primo quadrimestre del 2012 e quello del 2013: vendite crollate del nove per cento in Lombardia (contro l’11,45 nazionale), a Milano in aprile gli incassi sono scesi del 12 per cento. Ma il record è di marzo: meno 20. Nessuno ha comprato bermuda, gonnelline e costumi – anche perché, fino a qualche giorno fa, avrebbe rischiato la polmonite – e adesso che è arrivato il caldo è già ora di saldi. In teoria, si parte il 6 luglio e si va avanti per due mesi. In pratica, basta cercare. La crisi aguzza l’ingegno.
Serve un passo indietro: dal 9 giugno 2012 all’8 giugno 2013 Regione Lombardia ha concesso una deroga al divieto di fare sconti, promozioni e offerte nei trenta giorni prima dell’avvio dei saldi. «Una decisione per venire incontro ai commercianti», aveva detto l’allora assessore Stefano Maullu. Litigiosi come sempre, gli imprenditori si divisero tra favorevoli e contrari. Giro di pareri, indagine Swg per Confesercenti, maggioranza di «no perché così siamo penalizzati», ed ecco la recente decisione della giunta lombarda (nel frattempo cambiata con la guida di Roberto Maroni): nessuna proroga. Il nuovo assessore, Alberto Cavalli commenta: «Fin dall’inizio è stato spiegato che la sperimentazione sarebbe terminata dopo un anno. È vero, le opinioni sono frammentate, molti commercianti sono a favore del ritorno al regime ordinario mentre la grande distribuzione chiede promozioni anche a ridosso dei saldi. Ho preso l’impegno di analizzare i dati e definire una soluzione il più possibile condivisa».
Più facile a dirsi che a farsi. Basta sentire due colossi delle imprese per farsi un’idea. Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia, sospira: «La maggioranza dei nostri associati nelle province lombarde era contraria a continuare e così è stato deciso. Io, però, sarei favorevole alla liberalizzazione». Borghi indica due strade: promozioni sì, ma solo su alcuni capi, e saldi posticipati a fine luglio, «è da due giorni che fa caldo». Infine l’analisi: «La percentuale di imprese che la pensa come me è in crescita». Peccato che Giancarlo Morghen, direttore di Confesercenti Lombardia, replichi: «I commercianti che non vogliono la deregulation e nemmeno fare regali alla grande distribuzione sono in aumento. Il motivo? Non sono stupidi: hanno capito che i saldi, il 40 per cento del fatturato annuo, hanno ancora un grande potere evocativo. Se li contaminiamo con altre offerte, si perde tutta la loro forza». Altro parere, quello di Giovanni Cobolli Gigli, numero uno di Federdistribuzione: «La situazione è disastrosa, i magazzini sono pieni di merce. Avevamo bisogno di una spinta e cosa fanno? Bloccano le promozioni. Con il risultato che aumentano i furbi a danno dei consumatori, divisi tra la serie A, informata da email e sms sulle offerte nascoste, e la serie B. Atteggiamento miope. E pasticcio lombardo. È arrivato il momento di rivedere le regole. In tutta Italia».
Se sono divisi i rappresentanti di categoria, figuriamoci i dettaglianti. Carlo Massoletti possiede tre negozi di abbigliamento a Brescia. «Anche da noi – dice – è un susseguirsi di cartoline e inviti: il momento è talmente tragico che si provano tutte le strade. È la conseguenza di norme anacronistiche: su Internet fioriscono le offerte mentre alle boutique si impongono vincoli». Attacca Gabriel Meghnagi, rappresentante dei dettaglianti di corso Buenos Aires, grande arteria del commercio milanese: «Avevamo un’opportunità in più e ce l’hanno tolta sulla base di un sondaggio, quello di Federmoda, poco rappresentativo. Non si lamentino se poi i negozi chiudono. E se, nella migliore delle ipotesi, si scatena lo sconto selvaggio». Alberto Negrini, lecchese, ha 25 negozi di calzature e pelletteria: «Questo continuo sperimentare ci danneggia, gli sconti di fine stagione sono una cosa seria da applicare con criteri uguali per tutti». Negrini ricorda: «L’anno scorso molti imprenditori hanno organizzato liquidazioni camuffate, svendite illegali. Perché dobbiamo rinunciare al grande rito dei saldi? Come dice il sociologo Mauro Magatti, l’eccesso di offerta soffoca il desiderio». Ma anche i costi troppo alti.
di Annachiara Sacchi