Caro Direttore,
a margine della perfetta riuscita della manifestazione contro la violenza sulle donne, tenutasi a Teano la settimana scorsa, ed alla quale plaudo come tutti, ritengo doveroso fare alcune osservazioni sull’oggetto di essa, integrandolo con punti di vista che serviranno a focalizzare meglio un problema sempre più in espansione.
La violenza, di qualunque tipo, altro non è che lo strumento per attuare una sopraffazione: di un individuo su un altro, di un gruppo di individui su un individuo, di un gruppo di individui su un altro gruppo di individui. Esempi del primo sono quelli di qualunque uomo eserciti violenza su un altro uomo o donna “vis à vis” “ad personam”; il secondo riguarda il branco che esercita violenza su un singolo, ma può farlo anche una comunità o, peggio, uno Stato (totalitarismo); il terzo si manifesta nello scontro tra gruppi organizzati (lotta tra partiti o tra associazioni, ma non necessariamente delinquenziali) o tra Stati, ed è la guerra.
La violenza è connaturata alla specie animale, ma, mentre gli animali la esercitano soltanto con la forza o con la furbizia per motivi strettamente legati alla loro sopravvivenza o al loro modo di esseri animali, l’homo sapiens, proprio perché tale, ma pur sempre appartenente alla specie animale, sa metterla in pratica con una infinità di sfaccettature che sovente prescindono dalla forza bruta “sic et simpliciter”. L’homo sapiens “ragiona” e sa essere violento anche solo con il pensiero o l’azione, determinando comunque situazioni di sopraffazione (perché questo solo, come dicevamo, è il fine della violenza). L’assassino, il ladro, il truffatore, lo spacciatore, il rapinatore, esercitano violenza; ma la esercitano anche chi vuole primeggiare ad ogni costo, chi vuole essere l’esclusivo depositario di un affetto, chi desidera arricchirsi sfruttando i suoi simili, chi predica cose inattuabili turlupinando la gente, e via di questo passo.
Fatta questa doverosa premessa, e prima di entrare nel merito dell’oggetto della mia “disquisizione”, occorre fare un discorsetto sulla “libertà dell’individuo”, che viene sempre e comunque ad essere aggredita in ogni forma di qualsivoglia violenza.
Premesso che chi scrive ha della “libertà individuale” il più alto concetto che si possa pensare, esaminiamone gli aspetti che sovente possono apparire contradittori, ma che, in fondo in fondo, non lo sono affatto.
Orbene la libertà “sensu strictu” si compone di più libertà che potremmo classificare in libertà passive e libertà attive: le prime sono anche dette “libertà da” (dalla fame, dal bisogno, dalla malattia, ecc.…), le seconde “libertà di” ( di pensiero, di stampa, di associazione, di partecipazione, ecco…). E’ chiaro che le prime non potrebbero esistere se non esistessero le seconde, ma sono anche un po’ pericolose perché sovente, per attuarsi in alcuni aspetti, possono contrarre o far sparire le seconde. Ad esempio Isaia Berlin, filosofo ed uno dei maggiori pensatori liberali inglesi, scomparso nel 1997, spiega che sovente la promessa di libertà passive (dalla fame, dal bisogno, ad es.) è stata usata per coartare libertà attive, come la libertà di pensare ed esprimere il proprio pensiero, di associarsi, di rappresentarsi, dando origine proditoriamente a regimi dittatoriali sovente sfociati in catastrofi umane.
Ora veniamo a noi: ha colpito tutti la povera fine di quella ragazza sarda che la scorsa settimana si è suicidata per il terrore che alcuni suoi “amici” rendessero pubblico un filmato hard che la vedeva protagonista ed al quale essa stessa aveva partecipato in “massima libertà”.
Ecco il punto: sul fatto che lei volesse farlo non esistono reprimende (si trattava di una “libertà di”) ma la cosa non l’ha protetta dalla malvagità di altri che hanno preso a ricattarla (“libertà da”: in questo caso dalla delinquenza del gruppo).
Mi chiederete allora cosa bisogna fare per evitare simili situazioni drammatiche.
La “vera libertà”, a questo punto, consiste in una giusta contemperanza tra le due perché sempre la libertà di fare di un individuo limita o cozza contro la libertà di fare di un altro individuo, e se questi è un poco di buono o un sopraffattore, non perde tempo ad approfittare di qualsiasi espressione di indipendenza fisica o morale che la sua vittima ha cercato di perseguire, volgendo il tutto a proprio vantaggio.
Ora che una donna voglia uscire nuda per strada, tralasciando tutte le moralità del caso, può rientrare tra i suoi diritti, ma deve mettere in conto di scontrarsi con un delinquente che a torto può ritenere un suo diritto stuprarla.
La rivoluzione di pensiero del sessantotto, come tutti i movimenti che per farsi spazio devono sovente cavalcare anche temi diremmo “accessori” a quelli sostanziali, ha sempre e dovunque propagandato la “libertà sessuale” anche negli estremismi del semplice mettersi in mostra!
E la cosa è andata avanti senza limiti, accentuando una “pruderie” di pessimo gusto che viene quotidianamente propinata anche dalle tv di stato e non, vedi “il Grande Fratello”.
Poche parole sono state invece spese contro la possibilità che dalla libertà di un singolo nascesse la violenza di un altro. Ma il discorso sulla libertà non si esaurisce qua.
A molti potrebbe sembrare che il simpatico Robinson Crusoe, personaggio di fantasia nato dalla penna di Daniel Defoe, solitario abitatore di un’isola deserta, sia stato l’uomo più libero del mondo! Ma non è assolutamente così: la libertà, per esistere, ha bisogno delle possibilità, delle occasioni. Come avrebbe avuto la libertà di comunicare, se era solo e sperduto; come avrebbe avuto la opportunità di associarsi, di pensare e trasmettere il suo pensiero, di vestirsi elegante, di fare musica e via discorrendo? Gli era negato dalla sua condizione, dalla mancanza di occasioni di poter o non poter fare una cosa.
In epoca di “villaggio globale” la libertà si è estesa come non mai, sovente senza che taluni ne conoscessero i limiti; per questo è assolutamente necessario che la si governi e se ne insegni l’uso giusto. A tutti!