Cari Lettori,
i più attenti di voi si saranno accorti che da qualche tempo i coraggiosi articoli del nostro Direttore sono arricchiti da due foto sempre uguali: la prima ritrae il momento di folla plaudente l’avvenuta vittoria della lista capeggiata dal nostro Sindaco, nel mai troppo lontano 2018, e la seconda riporta un “poggetto” delle “rampe del Vescovado” che, ormai da mesi e mesi cadente ed ingombrante, continua a sfidare vittoriosamente tutte le più elementari leggi dell’equilibrio, della statica e della dinamica dei corpi, ed a restare là, imperterrito. Le foto rappresentano emblematicamente il travaglio del nostro popolo, oppresso dall’incuria di chi dovrebbe “amministrare”, da un lato, e dalla “osannante accettazione della incuria medesima” da parte di molti cittadini, dall’altra. Ne nasce una pericolosa miscela esplosiva che non esploderà mai, ma continuerà lentamente e progressivamente a corrompere il recipiente che la contiene, cioè la nostra città. Dei due aspetti quello che mi duole di più, inutile dirlo, è il secondo. La incuria del mandato amministrativo potrebbe trovare la sua origine in molteplici cause, ed il nostro Direttore le cita continuamente: incapacità, mancanza di volontà, snobismo, mancanza o diversità di interessi, vacuità intellettuale, narcisismo e basta, esagerata stima di sé (anche se la cosa può apparire paradossale), limitata disponibilità, strafottenza e chi più ne ha ne aggiunga. Fanno parte della natura umana e potrebbero, entro certi limiti, risultare anche comprensibili, pur se non giustificabili. Ma denotano tutti, pur se in negativo, la presenza di una “libertà interiore”: di essere narcisista, inconcludente, vacuo, snob. E via dicendo. Quella che, invece, atterrisce è la “osannante accettazione della incuria” cioè la cosciente certezza di star navigando nella cacca e la sfacciataggine di continuare ad esaltare il “mito” con “sei grande”, “fai bene” “vai avanti così” nei like sottoscritti ad ogni palese presa per i fondelli del popolo da parte sua. Perché questo comportamento evidenzia una sola terribile cosa: la aberrante, ignominiosa, incivile, infamante, barbara, pericolosa “mancanza di libertà”. Di libertà interiore, s’intende, di libertà di pensiero e di ragionamento, di perfetta coscienza di sé e di quello che si è; non che l’oggetto degli osanna stia lì col mitra puntato a provocarli. La cosa ancor più deleteria e che sono osanna spontanei, ma non so quanto veramente sentiti. Io continuerei a “sentirmi libero” anche con i ceppi ai polsi e gettato nella più tetra cella di Alcatraz o dello Spielberg solo perché la libertà l’ho maturata dentro di me, lo eviscerata in tutte le sue accezioni, me ne sono nutrito come un vitello dell’erba, e certamente non la tradirei, non mi tradirei, per nessun altro interesse al mondo. Ma se fossi il solo a farlo, fino a che punto potrei sperare ch’essa sopravviva e si innesti su altre persone e poi ancora su altre fino a trionfare nel pensiero dell’umanità intera? Per questo mi rivolgo a voi. Che libertà, che dignità verso se stessi, hanno coloro che ti sussurrano all’orecchio “questa è la peggiore amministrazione che Teano abbia mai avuto” ed il giorno dopo “taggano” un “sei grande” al capo di questa amministrazione da loro medesimi definita il giorno prima “la peggiore mai avuta a Teano”? Prendono in giro me o solo sé stessi? La squisita cortesia del Direttore ha voluto citarmi proprio ieri in un suo articolo, definendomi un appassionato di filosofia; troppo buono. Con i capelli ormai bianchi e qualche ruga in più sul viso, magari anche aggrappato a ricordi esaltanti, sono solo un uomo alla ricerca delle infinite motivazioni che muovono l’animo umano verso una cosa o l’altra. Ed è una ricerca sempre eccitante. Qualche anno fa avrei voluto pubblicare, nel merito, delle note alle quali, parafrasando il libro di Jane Austin, “Orgoglio e pregiudizio”, avrei voluto dare il titolo “Egoismo e vanità”. Perché è l’egoismo che impronta gran parte dei comportamenti umani; anche quelli che sembrano all’apparenza rivolti verso alte gratificazioni altruistiche. Il credente che porta il cilicio, che si batte il petto con le fruste, che si punisce per i peccati commessi, non pensate che, in fondo in fondo, provi soddisfazione perché sta facendo quella cosa? Perché e capace di farla? Ed anche chi grida ai quattro venti “io ti amo” non pensate che, in fondo in fondo, lo faccia perché è il primo ad essere appagato da quell’amore rivolto ad altri? O colui che fa grande carità non prova piacere più che di passare una serata in discoteca? Ecco che allora tutto, anche le azioni altruistiche, sono espressione di egoismo. Sarebbe vero, ma accettabile, sempre perché è nella nostra natura umana: altrimenti saremmo dei Santi. Ma se a questa forma di velato egoismo si aggiunge poi “la vanità”, cioè il proclamare ai quattro venti “io porto il cilicio”, “io ho fatto la carità”, “io amo il mondo intero”, allora le cose diventano serie. Una forma di “edonismo” anche questa, Pasquale? Ce ne sono di peggiori, ma sicuramente tra loro non c’è la “libertà”.
Sempre Vostro
Claudio Gliottone