…ma, aggiungerei, “NESSUNO UCCIDA ABELE!”.
Il 17 ottobre del 1983 la “giustizia” italiana dava vita al più efferato delitto che possa esistere in un paese civile e progredito: arrestare ed in seguito condannare con superficialità mai vista un innocente, Enzo Tortora, riconosciuto tale in appello, ma, per ricorso dell’accusa, proclamato definitivamente tale in Cassazione solo dopo 4 anni dall’arresto, nel 1987.
“Nessuno tocchi Caino” è il motto di una Lega internazionale che si prodiga per “una giustizia senza vendetta”, al fianco della quale si è sempre battuto, finché è stato in vita, il glorioso Partito Radicale Italiano: e lo fece anche per Enzo Tortora, candidandolo alle Elezioni per il Parlamento Europeo, al quale fu eletto ben in due circoscrizioni, il 20 luglio del 1984 con oltre cinquecentomila preferenze.
Enzo Tortora ottenne il decreto di scarcerazione e lasciò così gli arresti domiciliari. La procura di Napoli chiese subito al Parlamento europeo l’autorizzazione sia al processo sia all’arresto. Nonostante l’elezione garantisse a Tortora l’immunità parlamentare, fu lui stesso a chiedere l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti che venne concessa, mentre fu invece negata da Strasburgo l’autorizzazione all’arresto. Il 24 luglio Tortora s’insediò al Parlamento europeo e fece parte della “Commissione giuridica e dei diritti dei cittadini”.
Il 17 settembre 1985 fu condannato a dieci anni di carcere, principalmente per le accuse di altri pentiti.
Il 26 aprile 1985, il procuratore Diego Marmo, parlando di Tortora, in aula lo definì «cinico mercante di morte». Il legale del giornalista chiese di moderare i termini, ottenendo come risposta: «Il suo cliente è diventato deputato con i voti della camorra!», al che Tortora si alzò in piedi dicendo: «È un’indecenza!», e il pm chiese di procedere per oltraggio alla corte. Il 9 dicembre l’europarlamento respinse la richiesta di autorizzazione con il seguente comunicato:
«Il fatto che un organo della magistratura voglia incriminare un deputato del Parlamento per aver protestato contro un’offesa commessa nei confronti suoi, dei suoi elettori e, in ultima analisi, del Parlamento del quale fa parte, non fa pensare soltanto al «fumus persecutionis»: in questo caso vi è più che un sospetto, vi è la certezza che, all’origine dell’azione penale, si collochi l’intenzione di nuocere all’uomo e all’uomo politico.»
Il 13 dicembre 1985 si dimise da europarlamentare e, rinunciando all’immunità parlamentare, dal 29 dicembre fu messo agli arresti domiciliari.
Certamente Enzo Tortora non aveva nulla a che fare con Caino, il che rafforza la grande battaglia contro un apparato giudiziario tetragono da parte di uno dei più grandi liberali, di cui era “figlio ideologico”, il radicale Marco Pannella.
Ricordo un personale incontro con Pannella ad Ischia proprio in occasione della proposta di candidatura del Tortora (ero Segretario Provinciale del PLI di Caserta) e l’applauso scrosciante dell’Assemblea di un Congresso del Partito a Firenze all’ingresso del neo-eletto europarlamentare; più o meno lo stesso applauso che qualche anno prima aveva sommerso una Delegazione di rappresentanti Afgani invasi dai Russi. Il “filo rosso” che univa le due cose era il profondo senso di “libertà” che, come sempre, aleggiava in aula.
Stessa strenua difesa dei diritti esercitò il Partito Radicale per Toni Negri, extraparlamentare di sinistra, dalla successiva condotta ben diversa da quella di Tortora con la sua fuga nella Francia di Mitterand.
Avranno pensato a tutto questo i parlamentari di sinistra che hanno recentemente affossato la proposta di legge di istituire una giornata nazionale per le vittime di errori giudiziari?
Hanno pensato che potrebbe capitare a tutti di incappare in tali deprecabili frangenti per errori che nessun responsabile diretto pagherà mai, ma le cui eventuali spese di rimborso danni della vittima riconosciuta poi innocente saranno sostenute soltanto dalle casse dello Stato con i soldi dei comuni cittadini italiani, ma soprattutto di quelli che non sono né giudici né mafiosi, ma semplici “persone oneste”?
È questa la giusta giustizia?
Pensiamoci un poco.
Claudio Gliottone