Alessandro Magno è passato alla storia come uno dei più grandi conquistatori e strateghi del mondo ellenico: in soli dodici anni e giovanissimo di età (morì a soli 33 anni a Babilonia, nel 323 a. C.) mise su un impero che si estendeva dall’Asia Minore, all’Egitto, al Pakistan, all’Afghanistan fino all’India settentrionale. Figlio di Filippo il Macedone, era stato allievo di Aristotele; morì probabilmente per una cirrosi epatica legata ad abuso di vino o per una pancreatite acuta.
Fornito di grande cultura umanistica, oltre che di ineguagliate capacità strategico-militari, durante uno dei suoi tanti spostamenti, di passaggio per Corinto, andò a far visita al famoso filosofo cinico Diogene; lo trovò in campagna, sdraiato al sole.
Pieno di ammirazione gli si accostò e, paratoglisi di fronte, si presentò e chiese: “Chiedimi qualunque cosa: cosa posso fare per te?”.
Il Filosofo, senza esprimere meraviglia e curiosità, lo guardò e serafico rispose: “Spostarti dal sole; mi fai ombra!”.
Due grandi forze a confronto: quella della strategia militare e dell’ambizione, da un lato, e quella del pensiero e della speculazione filosofica dall’altra. La prima che faceva ritenere a chi ne fosse in possesso di poter essere il padrone del mondo e degli uomini, la seconda, che nei fatti ne rendeva veramente il possessore padrone del mondo. Nessun desiderio di grandezza, nessuna avidità di beni o di comando, nessuna volontà di sopraffazione poteva scalfire la imperturbabile serenità di un uomo che stava godendo di un bene impagabile: quello di riscaldarsi al sole, fonte di ogni vita, e di esercitare il proprio pensiero a comprendere e superare i confini di ogni terreno impero.
I generali che erano con il re presero allora a schernire il filosofo, ma Alessandro, colpito e ammirato per la sua grandezza d’animo, li richiamò esclamando: “Se non fossi Alessandro, vorrei
essere Diogene”, riconoscendo così la universalità del pensiero e rinvigorendo con la forza spirituale del cervello quella muscolare del braccio.
Un episodio significativo che la dice lunga su quelle che dovrebbero essere le priorità di scelta tra la saggezza e la vanagloria, tra la conoscenza dell’animo umano e la trascuraggine di ogni sua manifestazione superiore.
Mi è tornato in mente questo luminoso esempio di nobiltà di spirito ascoltando alcuni organizzatori politici locali i quali, di fronte alla loro richiesta a candidarsi rivolta a qualcuno, o addirittura di fronte alla profferita disponibilità degli stessi a farlo, si son sentiti chiedere: “ma a me cosa mi date? Quale assessorato o quale incarico di prestigio?”.
Anni luce di distanza dal buon Diogene e completo ribaltamento del fatterello raccontato.
“Non chiedetevi cosa l’America può fare per voi, ma chiedetevi cosa voi potete fare per l’America”, affermò in un celebre discorso J.F. Kennedy.
Facessero tutti così, la nostra città non sarebbe ridotta in questo miserevole stato.
Claudio Gliottone