Facciamo in modo che. come per ogni cosa preziosa, la nostra vita valga più per il suo peso che per il suo volume. Non si può non scegliere da che parte stare, la resilienza gode oggi di grande prestigio proprio perché è una sorta di invito a resistere allo status quo senza discuterne la necessità. Non si può non essere partigiani, sarebbe come arrendersi allo spirito di deresponsabilizzazione del nostro tempo. C’è una guerra che incombe più di sempre sulle nostre coscienze, alla quale partecipiamo con l’invio di armi che a poco servono se non a lasciar intendere, senza dubbio alcuno, da che parte stiamo. Ogni guerra è una guerra civile; ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione, scriveva Cesare Pavese. Bisogna placare il sangue sparso, dargli una voce. Guardare i morti è umiliante, sia per chi è così vicino da sentirne l’odore, sia per chi come noi guarda da uno schermo televisivo, che per quanto virtualizza, non riesce del tutto a privarci di quella umiliazione che pur avvertiamo. Non è più una faccenda altrui, il destino che li ha messi a terra ci inchioda a guardarli come parte dello stesso scenario, ci riempie gli occhi tanto da vederli ancora, anche quando smetteremo di guardare. L’Edipo di Sofocle è la tragedia greca che più di tutte continua ad avere una ricaduta concreta, tanto da essere una pietra miliare del patrimonio culturale dell’Occidente. Il nostro tempo è massimamente edipico, perché segnato dall’abbandono del senso del limite, della giusta misura: che cos’è il parricidio compiuto da Edipo se non l’ oltrepassamento di ogni limite umano, che segnerà solo l’inizio di una vita che andrà dissipandosi nel superamento di ogni limite possibile: Edipo sposerà la madre, sarà padre dei suoi fratelli, rompendo ogni schema della prima struttura comunitaristica umana: la famiglia. Il desiderio incestuoso abita da sempre l’animo umano, la psicanalisi scardina questo mito a paradigma della nostra doppia soggettività. I seminari lacaniani, ma anche lo stesso Freud, attingono dai miti greci tutto ciò che il nostro inconscio non riesce a comunicarci. E’ da sempre che lottiamo contro la dissipazione, a favore di una vita generativa, ma le cadute, gli inciampi, fanno parte della nostra storia non meno di quanto facciano le epopee umane. Oggi più di sempre i limiti sono diventati il negativo, il soluzionismo imperante è indice di quanto siamo ormai programmati a superarli, anche a discapito di ciò che è giusto, di ciò che è buono, di ciò che è bello, anche sacrificando la stessa onestà ,quella che da indice di onore e di giustizia sembra essere oggi il paradigma che meglio si addice alla figura dello sfigato tipo. Il nichilismo è il vero spirito della modernità, anche se in verità-più che il non credere più in nulla-si è di fatto affermata una fede inconcussa nel capitalismo, che sostituisce Dio in tutta la sua sacralità, ma anche ineluttabilità. Il nichilismo è declinabile in tanti modi, una delle sue radici è la presunzione di assoluto. Il fondamentalismo islamico crede di essere detentore dell’assoluto valore, ed è in nome di questo valore che si è verificato il peggior nichilismo possibile. C’è quindi un nichilismo inconsapevole che distrugge in nome della verità. È stato Nietzsche ad annunciare la morte di Dio e lo fa al mercato non a caso. Nietzsche anticipa la visione del nichilismo (azzeramento dei valori, manca lo scopo, manca il perché) come prodotto del capitalismo, il tasso d’interesse è di fatto il vero Dio, è il fondamento della macchina occidentale. C’è una vera e propria speculazione teoretica su questo tema cogente, pare ce ne sia una forma attiva e una passiva, a seconda del suo eventuale impiego in una prassi. E’ però lo stesso cristianesimo a dire all’uomo che deve farsi carico del male del mondo, mostrando una forma altamente nichilistica nella sua stessa struttura concettuale. Si può vivere senza nevrosi in un mondo dove il Dio della metafisica è morto? Può farcela l’uomo moderno a vivere felice con la consapevolezza che il cielo a cui alzava gli occhi nei momenti di bisogno si è svuotato? Si può rinunciare a quel Dio che sapeva tutto, a quel Dio totalizzante? Il nichilismo è proprio perdita del fondamento, c’è presa di coscienza che il mondo stesso sia niente. La domanda che ne nasce è: l’essere è libertà o necessità? Nietzsche in ECCE HOMO annuncia la nascita del nichilismo, usando per il titolo della sua opera, le parole con cui Pilato (secondo la Vulgata) mostrerà al popolo Gesù flagellato e coronato di spine. Dirà che a sopravvivere sarà chi saprà cavalcare il caos dell’esistenza. La destra tradurrà questo nel superuomo nicciano, la sinistra ne farà un oltreuomo, tanto da restare con un piede nella metafisica, da cui in realtà nessuno filosofo, se non quelli della filosofia analitica, riuscirà concretamente ad uscire, neanche chi come Heidegger o lo stesso Nietzsche ne farà l’intento della sua filosofia. A ostacolarli il P.D.N.C. (principio di non contraddizione), che impedisce ad ogni dire umano di poter sostenere una cosa e il suo contrario sotto il medesimo rispetto. La filosofia ha sempre determinato la storia, non è vero che ha solo contemplato il mondo: non avremmo avuto la rivoluzione francese senza filosofia, ne l’illuminismo, ma neanche il nazismo e lo stesso capitalismo. Senza filosofia non ci sarebbe l’intera storia dell’800. Parole come amore, libertà, fanno battere le mani, ma senza metafisica cosa possono significare ancora? Forse ognuno di noi ha una sua geografia assiologica, è per quello che nonostante la perdita dei valori della tradizione, ci resta qualche mappa concettuale ma anche emotiva, per poterci muovere in un mondo fatto di caos, dove sembra essere vero tutto e il suo contrario, sono cadute certezze storiche, la stessa scienza sa che la fisica non possiede la teoria del tutto. Questo renderebbe obbligatorio un passaggio dalla verità alla carità; l’incarnazione di Dio è servita a desacralizzare ciò che di intoccabile c’era nelle altre religioni, forse il vero senso del cristianesimo è la compassione, la pietas umana e non gli idoli. Gianni Vattimo, uno dei pochi filosi credenti, dice che solo dove c’è carità, solo dove c’è amore può esserci Dio, non in cielo. Per Severino è invece la necessità a poterci salvare, spetta all’uomo il massimo del fasto attribuito a Dio. Noi abitatori del nichilismo non dobbiamo dimenticare la tecnica: il nichilismo filosofico ci dice che non esistono limiti se non quelli che ci diamo da soli, la tecnica che è l’agire dell’uomo si accorpa con questa forza, ne viene fuori una vera e propria fusione in cui non si sa più dove finisce il nichilismo e dove comincia la moderna prassi umana. L’uomo moderno non crede più nei valori comunitaristici, ha visto AUSCHWITZ, ha visto HIROSHIMA, per un po’ sembrerà andare verso un pensiero anarchico che opera una critica radicale del principio di autorità, questo avrebbe dovuto renderlo più progettuale che nichilista. Per Pascal, infatti, fin tanto che ci sono fondamentalismi dogmatici, meglio essere scettici . Anche perché lo scetticismo è qualcosa di molto più radicale del pessimismo, che resta invece banale relativismo, qualcosa che non spinge alla profondità delle cause prime. E’ anche per questo motivo che i filosofi si indignano quando sentono dare del pessimista al grande Leopardi, il cui immenso pensiero è di una tale radicalità che esclude ogni possibile ingenuità relativistica. Il credo contemporaneo è che tutto accade e basta. C’è il caos alla base di ogni determinazione dell’universo. La casualità assoluta è il nuovo mito e la statistica è il sommo sacerdote che officia i suoi misteri. Non solo le cose, ma anche i giudizi sulle cose vengono dal nulla, come dal nulla viene l’uomo che li pronuncia. Così che tra tutti i giudizi umani, non ve n’è alcuno che sia più necessario, eterno o solo più vero di un altro. I giudizi tanto logici quanto etici accadono gli uni accanto agli altri, né migliori, né peggiori, solamente diversi. E’ bene capire che la nuova religione di cui oggi siamo tutti credenti celebra nella sua liturgia la glorificazione del nulla e chiama a raccolta tutti noi officianti e fedeli col nome di nichilisti. (Enrico Tommaso Spanio, filosofia teoretica, Università Ca’ Foscari di Venezia). L’ospite inquietante dell’Occidente governa ormai le nostre vite, tanto che nessuna speculazione teoretica è di fatto riuscita a stanarlo, ponendolo come moderno male radicale, che continua a mietere vittime senza che si possa dare un nome al mandante degli omicidi e spesso neanche agli esecutori. Non è vero che siamo tutti uguali, non è vero che siamo tutti innocenti fino a prova contraria, serve solo a quelli che non sono uguali a noi perché sono di” PIU’”, perché sono più potenti, a quelli che innocenti non sono perché sono palesemente colpevoli fino a prova contraria. A volte cambiare l’ordine dei fattori porta ad un risultato diverso, perché la Verità non è tollerante e i suoi detrattori si servono di questo per farne un’iperbole, qualcosa quindi che resti fuori dal possibilismo, qualcosa di irrealizzabile. E’ stato Edipo ad insegnarci che volerla conoscere è incestuoso almeno quanto è necessario. L’oracolo di Delfi, da cui Edipo scappa per tutta la sua vita, sarà pienamente realizzato, a nulla varrà allontanarsi il più possibile da ogni tentativo di porre in essere quel mostruoso destino, a paradigma di quanto la libertà sia il voluto e la volontà è fede, non è verità. Edipo è il” figlio” per antonomasia, siamo dunque tutti noi, perché tutti noi veniamo al mondo come figli e siamo figli della necessità più di quanto ci piaccia ammettere; magari è proprio la stessa condizione umana la radice del nichilismo? Queste sono le domande in cui si sta per tutta la vita, ma è proprio la postura con cui stiamo al mondo che può dare un senso a ciò che sembra non averne. Altrimenti l’esistenza è fuffa; scegliere da che parte stare vuol dire essere perlomeno nichilisti attivi, se poi riuscissimo ad aggiungere a questo la coerenza staremmo nel massimo rispetto di quel principio Primo che renderebbe incontrovertibile il nostro dire, perché è la struttura della non contraddizione a garantire al destino della verità il carattere dell’assoluta e inoppugnabile necessità.
ANNA FERRARO