Pare che la vita sia quella cosa che succede mentre siamo impegnati a fare altro. Questo dovrebbe darci la misura di quanto tutto ciò che diamo per scontato sia in verità il focus del nostro vivere. La filosofia per Socrate è la problematizzazione dell’ovvio . La parola filosofo sta a significare colui che ama la conoscenza, colui che ne ha cura e non colui che la possiede, quello è il sapiente. La filosofia è la ricerca della verità e non il suo possesso . Nessuna posizione filosofica è priva di problematiche, ma fornirsi di strutture concettuali proprie significa pensare con la propria testa, procurandosi strumenti per potersi sottrarre a quell’apparentemente innocuo “ politicamente corretto “che nasconde il moralmente corrotto del pensiero unico. Il linguaggio persuasivo è uno dei punti fondanti di una efficace comunicazione, aiuta ad entrare in empatia, nonostante la centralità della comunicazione resti non verbale. Quando parliamo di comunicazione politica l’elemento ideologico, demagogico, c’è sempre. Si arriva a fare della comunicazione politica una vera e propria arte della menzogna. La politica è il dover essere, non l’essere , la coerenza del discorso con i fatti reali non coincide mai. Essere abili nella comunicazione ha sempre un buon ritorno, qualunque sia l’ambito di riferimento, ma poi la politica è ciò che si “ FA “ , più di ogni altra cosa. Devi saper affrontare i problemi oggettivi, ci vogliono idee, proposte ,bisogna mostrare gli strumenti con cui raggiungere gli obiettivi, pianificarne il costo e come poterlo sostenere, altrimenti fai propaganda non politica. Oggi gli Stati centrali contano sempre meno, l’equilibrio geopolitico è dettato dagli imperi economici. Durante la guerra fredda il peso degli Stati era centrale, il loro potere era notevole. L’ Italia aveva un ruolo di primo piano, lì si giocava un delicato equilibrio nella Nato. La caduta del Muro cambierà tutti i giochi della scacchiera occidentale, i gollisti in Francia, ma anche Craxi e Andreotti lo avevano già capito. La politica può essere anche post-ideologica ma un politico che non ha memoria storica non potrà mai sostanziare il proprio fine, nè rendersi credibile agli occhi degli elettori più attenti. E’ da troppo tempo che ci sentiamo orfani di politici all’altezza del loro ruolo istituzionale, ma questo è un momento in cui le più alte cariche dello Stato -quando va bene- commettono sgrammaticature istituzionali ,così le chiama il politically correct ; sono in verità errori storici che vogliono negare le barbarie del nazifascismo , con una rilettura della storia provocatoria, offensiva e del tutto inaccettabile da parte di chi ha giurato sulla Costituzione , che contiene la XII disposizione transitoria e finale. Far passare i partigiani per terroristi è fare un uso politico della Storia per inaugurare una nuova epoca inverata da ignoranza e abuso di potere, altro che boutade folcloristica. La qualità dei nostri politici smaschera la nostra falsa coscienza sociale, se Gaber aveva ragione,i cattivi politici sono la conseguenza naturale della stupidità degli uomini. Non riusciamo a vedere che la posta in gioco è altissima, è la nostra stessa vita che necessita di riconoscimento. L’identità è un dono sociale, non è il solo fatto di essere nati a darcela .Tutte le nostre istanze fondamentali sono anche istanze politiche. Nell’audacia di voler frequentare un futuro possibile , il giocoforza fisiologico delle nuove generazioni sarebbe dovuto essere il focus di ogni prospettiva volta al miglioramento sociale; la Thatcher si sbagliava quando diceva che la società non esiste , che esistono solo gli individui, ma le hanno creduto tutti, l’egoismo ci viene molto meglio della preoccupazione per l’altro. Ci siamo accontentati della consapevolezza di vivere in una democrazia matura credendo che bastasse a poter garantire un futuro ai nostri figli che desse loro modo di scrivere una biografia dignitosa. La parola democrazia è sempre stata considerata nobile, ha sempre avuto un’aura . Ci si riferisce a una assiologia nobile, antica, pronunciandola. Noi siamo democratici perché vogliamo libertà di parola, vogliamo uguaglianza, giustizia sociale, tutti termini che in greco si riferiscono alla corrispondente realtà storico sociale, che rispettava di fatto la verità delle parole usate, per poterle dire queste cose. Ma le parole sono un nido di vipere , non sono autoreferenziali, possono arrivare a negare sé stesse. E’ lo stesso concetto di popolo a subire radicali cambiamenti di significato. Già il popolo romano non è più l’etnia del popolo greco, è già un popolo deliberante, è già un concetto politico giuridico. Democrazia è demos, ma il nostro popolo nulla ha a che fare col popolo greco, dai Romani in poi si è popolo quando si eleggono i propri tribuni, prima si è moltitudine, non popolo. Non sarà più la radice etnica a definire il popolo, ma la comunanza , le consuetudini sotto un medesimo IUS . Noi continuiamo ad usare parole nobili in contesti che non potrebbero più contenerle. La libertà di parola dei Greci, era di fatto la parresìa, che si esprimeva in quella agorà, in quei teatri, la cui notizia è giunta fino a noi. L’assiologia del termine democrazia si è sdradicata fino ad essere un nome come un altro. C’è un’aporia ancora più profonda quando pronunciamo il termine democrazia, le assegniamo un’intenzione ideale sempre , non è solo la descrizione di una situazione politica determinata. Ci diciamo democratici investendo quella situazione determinata di un dover essere. Dicendoci democratici oltrepassiamo sempre la democrazia che viviamo, esigiamo il perseguire fini che oltrepassano sempre la realtà data. Il rapporto con la realtà effettuale è sempre problematico, nel dirci democratici mettiamo sempre in crisi la datità, ci atteggiamo sempre a denunciarne i limiti .L’essere della democrazia non ci soddisfa mai. E’ come se per sua natura dovesse sempre superare sè stessa, mostrando il suo essere intrinsecamente progressista. Questo fa sì che la democrazia sia sempre in crisi, è un’aporia di fondo insuperabile. Il disagio che viviamo all’interno dei regimi democratici è connaturato ad essi. E’ un fattore costitutivo la crisi, è fisiologica al concetto stesso di democrazia. Senza averne contezza noi attribuiamo un valore aristocratico alla democrazia -dice Massimo Cacciari in una sua illuminante lectio magistralis-.Può sembrare un ossimoro, ma di fatto noi siamo democratici perché riteniamo che con essa si possa giungere ad un governo dei migliori. Il popolo pensa di esserein grado di scegliere i migliori, gli aristoi, appunto. E’ come dire che siamo democratici perché siamo aristocratici. Ma come si fa a garantirla questa aristocrazia, come si fa ad esser certi di eleggere i migliori. Ci si accorge sempre di non essere riusciti ad eleggere i migliori, ma si spera sempre di poter far meglio la prossima volta, che non arriverà mai. La realtà non corrisponderà mai ai valori democratici, quando andiamo a votare sappiamo che il nostro è un tentativo disperato. Dovremmo comparare due dimensioni che di fatto sono incomparabili : democrazia e aristocrazia. I nostri valori non sono più assiologici, sono valori valutati, cioè rispondenti al nostro utile di individui, visto che oggi il popolo è questo, una sommatoria di individui, a differenza del popolo greco, di quello romano ma anche di quello medioevale. I nostri sono valori economici di scambio, non sono più il VERT ( valore che sta di per sé, sottratto alla logica dello scambio ), facciamo come se fosse possibile passare dalla res privata alla res pubblica. Noi operiamo con la logica del come se. Con questo relativismo di valori non possiamo certo perseguire la verità. I valori valutati sono volti a realizzare le proprie valutazioni , che sono necessariamente in conflitto con quelle degli altri. E’ vero che Il conflitto è necessario alla democrazia, che senza polemos ( relazione ma anche guerra ) scompare. Già nella repubblica di Platone, era concreto il pericolo della crisi, per l’egoismo, per la pleonexìa dirà Aristotele. La democrazia non può essere che aperta, per chiudersi dovrebbe mettere a tacere quel politeismo che le è costitutivo, smettendo di essere democrazia. E’ un regime che nasce nell’epoca del “ Dio è morto “, nella distruzione dunque di ogni assoluto, ma in uno stato democratico non si può escludere che emergano valori che si pongono come assoluti. Non può la democrazia chiudere a questa parallasse, potrà solo cercare di rendere impervia la strada del conflitto garantendo maggiore possibilità alla stasis , darle qualche chance in più rispetto al polemos, accettandone il suo relativismo. Il sistema democratico è un concetto che non può escludere valori di alcun tipo, senza negare sè stesso. L’arte politica è proprio il tentare storicamente, in base a situazioni ben determinate, che il conflitto si mantenga in ordine per quanto possibile. Se emergono valori valutati che pretendono assolutezza la crisi della democrazia è inarrestabile. Se il dover essere marcia verso l’eliminazione del conflitto, ad essere eliminata sarà la democrazia stessa . E’ sotto gli occhi di tutti che oggi non gode di buona salute. Il conflitto tra valori valutati e valori assiologici, cioè valori valori, che non è una inutile tautologia lessicale, si è azzerato sull’appiattimento dell’utilitarismo. La democrazia è in buona salute quando promuove il conflitto come stasis , quando fa l’elogio dell’imperfezione, perché è totalmente imperfetta nel suo stesso statuto costitutivo. L’aporia è la sua essenza. E’ un ordine del conflitto la democrazia, come si fa a configurarlo quell’ordine? Per questo il politico non può rinunciare al logos, l’ordine del conflitto è una scommessa difficile. Gli stessi rivoluzionari francesi, per poterci riuscire pensarono ad un conflitto fraterno, ad un etos comune; libertà, uguaglianza ma non senza fraternità. Se manca la fratellanza le altre istanze crollano . La fratellanza non è cosa facile, comincia con Caino e Abele, la problematicità le è costitutiva, in natura vediamo che gli essenti si divorano. Dall’egoismo di ognuno può nascere un ordine? Una forma di armonia? Senza valori comuni la democrazia non può funzionare , il conflitto ne resta l’essenza ma da collocare in un ordine superiore di un etos comune. La democrazia dovrebbe tendere a soddisfare i diritti umani , per quello sentiamo il vanto di essere democratici. Parliamo di quelle istanze stabilite dalle grandi carte dei diritti, da quella del ‘48 voluta dall’ONU, a quella della Convenzione europea , un grande disegno quintessenziale alla democrazia , che prefigura un governo giuridico sovranazionale. La contraddizione qui è colossale, se i valori della democrazia devono corrispondere ai diritti umani, vorrà dire che hanno una natura sovrastatale ; sono valori universali che per diventare positivi devono stare in una configurazione statale, l’aporia è insuperabile. Il senso di questi valori sta nella loro universalità . Ci accorgiamo dell’inciampo quando parliamo di questioni che riguardano l’ambiente, la guerra, la pace, l’atomica, ma con lo stesso covid abbiamo fatto esperienza dei limiti di una democrazia sovranista. Era per quello che ci dicevamo europeisti. La crisi è dunque costitutiva della forma democratica, che nei suoi principi afferma di doversi oltrepassare . Se non si è coerenti col senso del dover essere, che ne è l’essenza, se ne impedisce il funzionamento, se la democrazia vede il conflitto come male , come il negativo , nega sé stessa. Neanche però si può ingorgare nel puro conflitto, la sua natura sta in quel progressivo, in quell’oltrepassarsi , in quel delicato equilibrio che cronicizza una crisi fisiologica senza mai farla sfociare in una vera patologia, per potersi sistemare di volta in volta, all’interno della sua imperfezione che resta l’unico spazio vitale in cui potersi veramente dire democratici. L’ utopia del governo dei migliori resta l’iperbole a cui non rinunceremo mai ,logica vuole che noi animali imperfetti si viva in un regime imperfetto. La creatura non potrà mai essere migliore del creatore. La giustizia quella vera, sarà sempre in là da venire , come la fine dei tempi. I filosofi danno lustro all’errore, perché necessario alla verità che ne è il superamento, tenuta ferma nella sua incontrovertibilità grazie a questa dialettica anapodittica . L’errore non vede l’errore è la verità che vede l’errore. Pertanto ,volendo restare in una onesta esegesi del testo sacro, nell’attesa che il giudizio storico si faccia escatologico: CHE NESSUNO TOCCHI CAINO.
ANNA FERRARO
I CATTIVI CITTADINI CHE ARRIVANO ALLE CARICHE ISTITUZIONALI QUANTO PIU’ SONO INDEGNI DI OCCUPARLE TANTO PIU’ SI MOSTRANO INCURANTI E PIENI DI STOLTEZZA . Cit. DEMOCRITO