Caro il mio Direttore,
faccio seguito al tuo “Sidicini, da popolo fiero a popolo sottomesso”, per sottolineare il mio orgoglio di essere sidicino e non Teanese, come direbbe un mio caro amico “che danza”. Eh, si. Aimè, mi attirerò le ire di qualcuno. Pazienza. La realtà è davanti agli occhi di tutti. Anche di quanti deridono ed offendono, gratuitamente, chi cerca di rendere loro un servizio, altrettanto gratuitamente. Ma è scritto nelle regole del gioco, e da buon giocatore, le incasso e non replico.
Da dove nasce quest’orgoglio?
A differenza di chi ha avuto subito la (s)fortuna di lavorare a pochi passi da casa, il sottoscritto ha fatto la sua gavetta fuori regione, “in terra straniera”. In mezzo ai “forestieri”. Il pendolare dei cieli, come tanti altri che ogni settimana lasciano Napoli e/o dintorni, per raggiungere Milano.
Era un venerdì, di primo pomeriggio. Come tanti altri. Il McDonnell Douglas MD 82 era appena decollato da Milano Malpensa, direzione Napoli Capodichino. Quasi tutti i posti occupati. Restavano libere solo le prime due file. Noi, seduti poco dietro. Il mio collega lato finestrino, io lato corridoio.
Da tempo “volavamo” lungo quella tratta, ed ogni fine settima, il rientro a casa. Dalla terronia tutti i lunedì, di buon’ora partivamo per la città della Madonnina, con destinazione finale in quel di Bergamo. Esportavamo al nord il nostro sapere. Piccole soddisfazioni.
Il vettore, ormai, aveva terminato la sua dolce salita, la posizione quasi in orizzontale. Il segnale di “allacciate le cinture” spento. Il decollo come al solito, sempre trepidante. C’è chi faceva finta di niente, ma nella sua mente pregava, chi invece pregava davvero. Glielo si leggeva negli occhi. Noi, abituati ormai a quella manovra, tranquilli al nostro posto.
Il comandante ci aveva appena dato il suo classico benvenuti a bordo. Dall’altoparlante, prima in lingua nazionale, poi in inglese annunciava: “Il tempo è bello. Contiamo di atterrare tra 1 ora e 15 minuti. Sorvoleremo Firenze, Roma, Teano …… “.
Il collega, mi dette una pacca sulla spalla, e ridendo mi disse di chiedere alla hostess di procurare un paracadute per farmi scendere. “Così arrivi prima a casa”. Senza pensarci due volte, chiesi alla hostess se mi avesse potuto avvisare al passaggio su Teano. Lei andò dal comandante a chiedere, mentre il mio amico continuava a mormorare “tu sei pazzo”. La signorina con gentilezza, m’informò che, per ragioni di sicurezza, non era possibile avere quell’indicazione. Eravamo nel post 11 settembre. Era anche logico, e forse rischiai a fare quella richiesta.
Così cominciai a raccontare al mio socio di viaggio la bellezza di Teano, delle sue colline, dei boschi, dell’aria pulita, della sua incredibile storia. Del centro storico: un paesaggio da presepe. Delle noccioline, delle mele annurche, del maialino nero. Sapori da esportare nel mondo. Di quando da ragazzi, provavamo a risalire il Savone.
Mentre raccontavo queste cose, si avvicinò l’hostess. Si guardò intorno e chinandosi verso di me disse: “può accomodarsi su una delle poltrone libere in prima fila. Fra qualche minuto sorvoleremo Teano”. Il tempo di sedermi e dall’oblò incominciai a riconoscere quei posti a me familiari. Che spettacolo avere la possibilità di guardarli dalle nuvole.
Un attimo dopo, iniziò la fase di atterraggio. In pochi minuti atterrammo a Napoli. Recuperammo il bagaglio a mano ed andammo verso l’uscita, dove l’equipaggio era già schierato per i saluti di rito. Al nostro passaggio, l’hostess fece un cenno al comandante e lui, prima che io mettessi piede sulla scaletta, mi disse: “Bella Teano, ci sono stato. Complimenti”. Altra piccola soddisfazione.
Siamo stati un popolo di grandi. Questo non vuol dire che non lo saremo più. Dopo il mio articolo sull’orologio del campanile, ho ricevuto vari messaggi da lettori pronti a dare il loro contributo incondizionato per rivedere quelle lancette girare. Li ringrazio di cuore. Sarebbe bello riascoltare il rintocco di quelle campane. Magari anche solo per il mezzogiorno e la mezzanotte. Per non dare troppo fastidio ai residenti.
Un tempo, era il rintocco delle campane a segnare la vita di un paese. E noi, dobbiamo imparare a ritornare alle origini. Da quelle dobbiamo ripartire. Basta crederci.
Qualche giorno dopo, è stata postata una vecchia foto di Piazza della Vittoria. In bianco e nero. Me ne sono innamorato subito, anche perché legata a ricordi indelebili di quando ero bambino. Di quando, da quella stessa piazza, mi voltavo verso il Campanile per vedere che ora fosse.
“Come posso fare per averne una stampa?”, la mia domanda.
“Cercherò di farmela stampare e te ne farò omaggio per il tuo Feudo”, la gentile risposta di chi ha caricato quella foto.
E così, nel mio Feudo, dedicherò una stanza a come eravamo, in modo da avere la possibilità di fare un salto nel passato quando vorrò.
Abbandoniamo questi maledetti social e torniamo a popolare il corso. Una sana chiacchierata con qualche amico, magari dai poggetti, guardando in lontananza le luci del mare. Altrove, chissà cosa pagherebbero per avere lo stesso scenario.
Quello che noi facciamo, è soltanto una goccia nell’oceano. Ma se non ci fosse, l’oceano avrebbe una goccia in meno (Madre Teresa di Calcutta)
FeudoDiViaAnfiteatro, Settembre MMXX
Luciano Passariello