“Non sei una rotonda, non sei un’aiuola, non sei un giardino archeologico. Sei un Tommaso. Ecco, ti chiamerò Tommaso”
Così cominciava un simpaticissimo e arguto articolo della giornalista Maria Flora Grossi a cui vanno i miei più sinceri complimenti e le ruberò l’introduzione per una mia personale trasposizione solo del nome ma non della sostanza.
Non sei una rotonda, non sei un’aiuola, non sei un giardino archeologico. Sei una vergogna. Ecco ti chiamerò Vergogna.
Ma tu, come Tommaso, non sei scomparso, sei lì per farti accarezzare dai viandanti ogni volta che ritornano dopo aver fatto visita ai loro cari nel vicino cimitero. Stai li da anni, misuri si e no una quarantina di metri ma, nessuno si cura di te ed io sarò costretta a passare sopra alle tue ferite ormai diventate piaghe incancrenite e con la mia auto sofferente più di te. Ti vorrei adottare anch’io ma non so a chi rivolgermi e non so se sarebbe mai accettata la mia richiesta.
Io non imiterò in questo la brava Maria Flora, non invierò alcuna supplica al Sindaco, anche se non vedo perché non dovrebbe accontentarmi
“Saranno diverse le mie mattine senza te, dovrò riabituarmi ad utilizzare la mia corsia senza invadere quella opposta. Sarà difficile iniziare la giornata senza te, ma ce la potrò fare.” Così scriveva Maria Flora al suo Tommaso, io invece dovrò abituarmi a vederti ogni volta che passo di la, dovrò continuare a passarti sopra perché non c’è neanche lo spazio per un’altra corsia. Sarà difficile visitare i miei congiunti senza doverti vedere soffrire per le tante volte che ti passano addosso sulle piaghe incancrenite.
Non potrò adottarti, sarò costretta a vederti soffrire ancora per tanto tempo, almeno consentimi di chiamarti Vergogna!