Si avvicina il 26 ottobre, giorno di ricorrenza dell’ “Incontro di Teano”. Un avvenimento certamente non “sorpassato” , da ricordare non per sovranismo, ma per conoscenza e riproposizione della propria identità storica, politica e culturale, e per ribadirla ad una Europa che proprio col trattato di Roma pose le sue basi e che sembra ogni giorno distaccarsi dai principi che in quel trattato volle affermare e proporsi. Quest’anno, per strana “congiunzione astrale”, ricorre anche il 220° anniversario della Rivoluzione Napoletana del 1799, che, pur con i vari tantissimi distinguo, rappresentò l’inizio del nostro Risorgimento, non nei fatti (passeranno almeno altri 50 anni, fino al 1848), ma nella mentalità nazionale unitaria e, soprattutto, nella visione democratica della organizzazione governativa. La Rivoluzione Napoletana, alla quale oggi gli studiosi dovrebbero rivolgere tanta più attenzione, peraltro non mancata per il passato, vedi quella di Benedetto Croce, fu un avvenimento di portata nazionale perché, nonostante la sua brevissima vita (pochi mesi) e la sua tragica fine, o proprio per questi medesimo motivi, scosse coscienze in tutta Italia e fu fulgido esempio di coerenza agli ideali, di democratica visione, di illuminata creazione. Fu grazie ad essa che cominciò ad espandersi tra gli intellettuali dell’epoca la volontà di opporsi ad ogni regime oppressivo, che sarà la guida verso l’unità, indissolubilmente legata al desiderio di “indipendenza” da stranieri e monarchi assoluti, cosa che di frequente dimenticano le recenti formazioni nordiste o sudiste; perché il Risorgimento fu innanzi tutto lotta per l’indipendenza e poi si trasformò in lotta per l’unità. La Rivoluzione Napoletana fu tutta “sui generis”: definita “giacobina”, negli effetti di giacobino aveva ben poco; non fu iniziata e portata avanti dalla media borghesia, come la rivoluzione americana, la francese e, successivamente la russa, ma dall’alta borghesia, mentre il popolo, i lazzari, ed il clero continuarono a difendere l’ordine costituito fino alla reiterata sopraffazione di ogni libertà ed allo sterminio di una classe intellettuale di prim’ordine, come non esisteva nel resto d’Europa. E questo fu il più grande crimine dei Borboni, che abbiamo pagato nel tempo, alla quale non fanno minimamente da contraltare la prima ferrovia in Italia o la costituzione di San Leucio. Ma l’argomento è vastissimo e merita, ribadisco, un approfondimento serio che prescinda, ma alla grande, da fanfare dei Bersaglieri, imbandieramento della città, partecipazione “coatta” di scolari e sudenti, corone di alloro et similia. La Rivoluzione Napoletana ebbe come primo Presidente un intellettuale nato a Teano, Carlo Lauberg : ecco il punto di contatto tra essa e l’incontro di Teano. Un inizio ed una fine che vedono coinvolta la nostra città, e questo bisogna ribadire a chi misura col metro dove sia veramente accaduto l’incontro. Se sapremo farlo ne guadagneremo di doveroso rispetto e, chissà, forse di costruttivo orgoglio per noi. Si dà anche il caso che a Carlo Lauberg abbia dedicato un interessante studio un nostro concittadino, nonno dell’attuale Sindaco D’Andrea, concretizzatosi in un libro mai edito, che il collega Dino mi pregò di rivedere per curarne la veste editoriale. Cosa che feci con grande piacere. Mi è allora gradito coglier l’occasione per suggerire al Sindaco di ampliare i limiti di una celebrazione ormai stantia, e di farne fonte di coinvolgimento nazionale con l’organizzazione di giornate di studio serio ed profondo, alle quali parteciperebbero con piacere e non “coattamente” tanti studenti. E sarebbe un vero investimento per il futuro. Nomi di studiosi dell’argomento non mancano di certo: Migliorini, della Università di Napoli, Alessandro Barberi, Villari, Paolo Mieli e tanti altri. Stavolta non ho criticato; o non solo criticato, ho anche proposto. Spero con costrutto.
Claudio Gliottone