Alcuni tra gli ultrasessantenni teanesi capiranno subito di che cosa stiamo parlando. Tutti gli altri mai potrebbero immaginare che il cosiddetto micio altro non era che il classico filone di pane, venduto, fino ai primi anni ’60, con un pezzo di aggiunta, appunto la ionta, che serviva a far raggiungere il canonico peso di un chilo che, a sua volta, serviva a rendere standard anche il prezzo. La stessa cosa avveniva con la struppiatella, che era invece la forma da mezzo chilo.
Prima di tutto, il micio veniva così chiamato per la sua forma e le sue dimensioni che, con un po’ di fantasia, osservato da una estremità ricordava la sagoma di un gatto disteso visto dal di dietro. Il pezzo da mezzo chilo, invece, era detto struppiatella perché aveva una forma più irregolare e quindi storpia, probabilmente perché ottenuta dalla spaccatura in due del panetto per i mici.
Poi c’era il tortano, che prende il nome dalla forma del rustico napoletano a ciambella, che aveva, a differenza di ogni altra forma, la particolarità di non poter essere iniziato con il classico cantuziello (la sola crosta ottenuta dal taglio iniziale ad una estremità) e quindi di poter essere diviso in maniera omogenea dalla prima all’ultima fetta.
L’aggiunta era invece, in tutta la sua banalità, uno straordinario ed eloquente segno del tempo, che oggi fa luce sugli aspetti essenziali delle condizioni socio economiche del secondo dopoguerra nella stessa città.
La questione nasce dal fatto che, oggi come allora, non è possibile produrre una forma di pane che abbia un peso preciso e quindi il prezzo del pezzo dovrebbe essere sempre diverso e calcolato al centesimo. Oggi il problema non si pone, poiché è generalmente ammessa l’approssimazione o perché lo si trova già confezionato con la precisa indicazione del peso e del prezzo, grazie alle moderne e pratiche apparecchiature.
Allora, cosa poteva inventarsi un panettiere, con la povertà che c’era, non potendo in alcun modo approssimare e per evitare di fare calcoli complicati per ottenere il giusto prezzo di un pezzo di pane? Se i suoi pezzi avessero superato il chilo, certamente non avrebbe potuto rimetterci, né tantomeno avrebbe potuto vendere un pezzo con una parte tagliata. Allora, niente di più logico che mantenersi con un dosaggio standard che gli garantisse di restare sempre al di sotto del chilo, per poi aggiungere al filone la famosa ionta che gli consentiva di avere peso e prezzo unitario.
Sta di fatto che l’approssimazione restava comunque, difatti la ionta non poteva mai essere la precisa differenza, eppure il problema non si poneva affatto, perché quella aggiunta non arrivava mai a destinazione.
Chiunque, infatti, e per lo più i bambini, andando a comperare il pane, venendo avvolti da quell’intenso e squisito profumo della panetteria e trovandosi tra le mani questa piccola delizia in un certo qual modo slegata dalla spesa, morbidissima e spesso ancora calda, non poteva fare a meno di mangiarla.
Così, poiché quella di consumare la ionta per strada era divenuta una diffusa, consolidata ed accettata abitudine, al pari di un diritto acquisito dell’incaricato all’acquisto, tra fratelli spesso si litigava per chi doveva andare a comperare il pane.
Tutto questo avveniva nei forni storici della città: quello di Pietro Cristiano nei pressi del castello di piazza Vittoria, di Achille Barra in piazza Marconi, dei fratelli Emilio e Salvatore Spaziano all’angolo del muraglione, di Giuseppe Spaziano in piazza Vittoria, dei Turco in via Porta Roma; più recenti quello di Cosimo Rendina ai Gradoni e dei Caprio in Borgo Sant’Antonio Abate.
Sarà che oggi, solo perché ancora vissuti, non apprezziamo abbastanza alcuni aspetti dell’attualità che andranno a scomparire e di cui si avrà poi la stessa nostalgia che si prova oggi per ciò che è stato. Eppure, la palpabile sensazione trasmessa dalle tracce e dai ricordi di quell’ormai antiquata e semplice quotidianità, emana tutt’ora un indefinibile e indescrivibile elemento dominante, di cui oggi si sente molto la mancanza: la poesia.
Teano era poesia, con le sue bellezze, le sue stranezze, le sue contraddizioni, le sue ricchezze, le sue povertà e la sua straordinaria vitalità. Poesia, in quel che c’era e anche in quel che mancava, poesia di cui non resta che il nostalgico e gradevolissimo ricordo.
Gerardo Zarone


LA VITA È BELLA.
MUSEO SCUOLA CERCA CASA.
TEANO, PAESE DELLA MER…AVIGLIA! 
