Teano. Città deserta sferzata dal soffio gelido di un inverno ormai maturo, ammantata nel buio di una notte senza stelle. Piante tremule gravano sull’asfalto consunto tendendo dita rinseccolite. Cani randagi scorrazzano liberi per le strade, predoni, padroni del proprio destino, invulnerabili, indifferenti ai mali dell’uomo moderno. Saracinesche abbassate, apologia di negozi e botteghe che al mattino pullulano di persone intrappolate in mediocri abitudini, in vizi malcelati, in desideri repressi: è il funesto tentativo di ingannare il futuro e di cristallizzare il tempo, che però scorre senza requie trascinandoli verso la fine di un giorno che non tornerà. Granelli di sabbia nel deserto della solitudine.
Teano. Numi del cielo la vollero palcoscenico di un incontro. Storico, dicono i più; sciagurato, i restanti. Fortuito, azzardo io. Comunque incontro fu, la marcia rossa s’arresto al cospetto di un re fantoccio. Garibaldi Giuseppe, lungimirante, immagina un’Italia unita, decide di farsi da parte poiché ha assolto al proprio compito e ritira le truppe: è qui che sta il suo eroismo, nel capire che in un paese civile non c’è più posto per quelli come lui. Si sbagliava, ahinoi, ma all’epoca non poteva certo saperlo.
Teano. Un nuovo eroe si aggira per il paese, lo attraversa senza calpestarlo da un estremo all’altro, attratto dal canto di sirene sconosciute. Lenti i suoi passi rimbombano nel vento, amplificando un senso di vuoto che lo dilania e lo consuma. Si è già abituato, sa che gli ultimi brandelli di vita stanno per abbandonarlo. Lui cammina, continua a camminare. Passi che si perdono nel silenzio, nel buio. Cerca soltanto la pace.
Teano. Eccolo, finalmente, il luogo in cui potrà trovare sollievo dalle sue sofferenze. L’ingresso è inquietante, la consapevolezza di ciò che lo attende oltre addirittura peggiore.
<<Ancora qui!>> si rivolge all’uomo deposto a sorvegliare coloro che furono. Dovrebbe essere già a casa da un pezzo, ammesso che una casa ce l’abbia.
Quello sembra guardarlo, turbato. Non risponde, riabbassa la testa sul petto. Percosso da un brivido si stringe nel suo scialle e mormora spergiuri.
<<Ancora qui.>> ripete. Più che altro una constatazione.
Varca la soglia del cimitero. Vagabonda in mezzo agli spettri del passato, schiacciato dalla consapevolezza della sua diversità. Un debole bagliore rischiara le ombre dei loculi e si riflette sul marmo delle lapidi. Una luce, un faro di speranza. Si avvicina, è un prete. Non lo conosce, forse è la prima volta che lo incontra.
<<Buonasera.>> si presenta schiarendosi la voce arrochita.
<<Salve.>> risponde il clericante paffuto.
<<Non è un po’ tardi per salmodiare sulle spoglie dei defunti?>> domanda sprezzante.
<<Forse.>> ribatte quello con una nota di biasimo <<Per te non è troppo presto per essere qui, ragazzo mio?>>
<<Mi hanno chiamato, non potevo andare da nessun’altra parte.>> si indispettisce, poi però incrocia lo sguardo caritatevole del prete e si calma.
<<Cos’hai lì?>> gli chiede indicando la sua mano.
Lui guarda in basso. Tra le dita stringe una pistola. Non si è accorto di averla portata con sé, eppure sa che non avrebbe potuto separarsene. È lì per quello.
<<L’hai usata?>> insiste il prete.
<<Sì.>> ammette riluttante <<Mio padre,>> spiega <<in realtà il compagno di mia madre. Ogni sera tornava a casa ubriaco e la picchiava. Non ho sopportato più. L’ho usata.>>
<<Non spetta a noi decidere della vita o della morte.>> fa per avvicinarsi, stringendo forte la croce dorata appesa al collo.
<<Non spettava nemmeno a lui decidere che mia madre dovesse morire.>> contesta, senza alzare la voce <<Se non lo avessi fatto l’avrebbe ammazzata di botte!>>
<<Vero.>> è costretto ad ammettere il prete <<Allora forse riceverai il perdono.>>
<<Forse.>> ripete con un mesto sorriso. Poi dopo un attimo: <<Padre, posso chiederle un favore?>>
<<Dimmi pure.>>
<<Se non le crea disturbo……vorrebbe rivolgere una preghiera anche per la mia, di anima?>>
<<Nessun disturbo.>>. Chiude gli occhi e comincia di nuovo a salmodiare.
Lui lo sorpassa a capo chino, arriva un paio di loculi più in là. C’è un posto libero, un anfratto umido. Si adagia tra polvere e ragnatele, incrocia le mani sul petto stringendo forte la pistola. Si addormenta un’ultima volta, per sempre. Trova l’agognata pace, il sollievo dai tormenti terreni.
Teano. Il mattino seguente, in quell’estremo giaciglio, viene portata la salma di un ragazzo. Suicidio, non ha retto alla pressione. Aveva solo cercato di difendere la madre da un orco. La società l’aveva marchiato come assassino.
Teano. Degrado. Delirio. Delinquenza. Follia. Il simbolo dell’Italia che si unisce diventa il marchio dell’Italia che si sgretola, che si rivela un’accozzaglia di bestie chiuse in un recinto chiamato confine, pronte a sbranarsi l’un l’altra.
Teano. Italia. Garibaldi non c’è più. È necessario partorire nuovi eroi.
Un cittadino