Ieri si è celebrato il decennale dalla morte del grande Luciano Pavarotti. Ho assistito al magnifico spettacolo ripreso all’Arena di Verona dove hanno riproposto una lunghissima carrellata di personaggi noti e meno noti che hanno incrociato Il grande tenore almeno una volta nella loro carriera, perché si è trattato prevalentemente se non esclusivamente di personaggi della musica e del canto. Ognuno ha raccontato la personale esperienza ed ognuno giustamente si vantava di questo o di quello.
Anche io nella mia vita ho incrociato Luciano Pavarotti. Però non mi hanno invitato ed allora non l’ho potuto raccontare. Che faccio, la racconto a voi? Si? Lo so che avete risposto di si ed allora ve la racconto.
Era il 1986, avevo appena lasciato la Indesit S.p.A. e mi ero trasferito alle dipendenze del Gruppo Maggiò di Caserta, mi occupavo degli affari generali, delle risorse umane e di alcuni aspetti legati alla gestione della squadra di Basket la Juve Caserta. Il titolare era il mitico Presidente Giovanni Maggiò, presidente della Juve Caserta di basket che poi vinse lo scudetto contro Milano e proprietario di quattro stabilimenti di produzione di prodotti per l’edilizia con circa 900 dipendenti e cantieri per opere pubbliche in Campania, Calabria, Basilicata. In quel periodo occupò anche contemporaneamente la carica di Presidente della Camera di Commercio e presidente dell’Unione degli Industriali di Caserta.
Il cavaliere Maggiò era un appassionato, oltre che del basket, anche di ippica ed a lui si deve la prima edizione della coppa d’oro Città di Caserta che si svolgeva nel parco della Reggia. Fu proprio questa sua passione che mi consentì di incontrare Luciano Pavarotti. Premetto che Maggiò aveva una tenuta prestigiosa in località Cuccagna in Casagiove, che io definivo la Casa Rosada per il suo caratteristico colore.
La tenuta comprendeva anche una pista di maneggio ed un sistema di stalle dove si custodivano almeno una decina di cavalli tutti da competizione che lui cavalcava puntualmente, spesso accompagnato dalla figlia Ornella anch’essa molto brava, quando poteva anche a costo di saltare qualche pranzo.
Un giorno eravamo in macchina io e Maggiò, provenienti dal cantiere del Palazzo di Giustizia di Napoli, la cui costruzione era stata affidata proprio alla sua Impresa di costruzione. Giunti a Caserta Sud, dove solitamente uscivamo per raggiungere gli Uffici di Corso Trieste, mi chiede con cortesia di procedere verso Caserta Nord perché dovevamo incontrare una persona proveniente da Roma, l’appuntamento era a Caserta Nord. ”Le faccio una sorpresa” furono le uniche anticipazioni che mi fece.
Arrivati sul posto parcheggiai l’auto a bordo strada in prossimità dell’uscita autostradale e proseguimmo una discussione di lavoro che avevamo avviato almeno due ore prima. Dopo circa mezz’ora un’auto nera di grossa cilindrata, non ricordo la marca anche perché non mi interessava, si accostò a bordo strada quasi di fronte alla nostra macchina, Maggiò mi chiese di rispondere con il lampeggio dei fari. Capii che era l’auto che attendevamo. Difatti quest’auto si fermò e ne scese un signore piccolo e pelato, subito riconosciuto da Maggiò che lo salutò molto cordialmente. Si apri poi lo sportello a fianco del guidatore e ne uscì una sagoma enorme, imponente ma facilmente riconoscibile: era il grande tenore Luciano Pavarotti.
Rimasi al mio posto di guida quasi intimorito sia per la importanza del personaggio e sia perché non riuscivo ad inquadrare il senso di questo incontro: che ci faceva Pavarotti con Maggiò? Dopo i primi convenevoli Maggiò mi fece cenno di scendere e di avvicinarmi a loro. Cosa che feci molto timidamente. Maggiò mi presentò come uno dei suoi più validi collaboratori, Pavarotti nel salutarmi mi chiese “anche lei monta?”
Avrei voluto fare la battuta ma poi mi fermai pensando che uno come Pavarotti non avrebbe mai fatto una domanda con il doppio senso. Avevo comunque intuito il motivo dell’incontro. Mi limitai a rispondergli che in vita mia avevo cavalcato solo un piccolo puledro in un maneggio di Roccaraso, ma giusto cento metri, poi il cavallo mostrò di non gradire il mio peso.
Ci rimettemmo in macchina diretti presso la tenuta dei Maggiò, il cavaliere risalì nella mia macchina e facemmo strada all’altra macchina. In macchina mi spiegò che aveva ricevuto una telefonata alcuni giorni prima da una segretaria del Tenore che, conoscendo attraverso la stampa la passione di Maggiò per l’ippica e la qualità del suo allevamento, precisò che trovandosi a Roma il Maestro voleva semplicemente visitare la struttura e cavalcare almeno una volta una puledra in particolare di cui non ricordo il nome. Giungemmo a Cuccagna, accolti dalla Signora Maggiò e dalla figlia Ornella
Mi fu chiesto di restare ma declinai l’invito perché ritenevo ed a ragione, di essere li come il cavolo a merenda. Salutai tutti ed anche il Maestro che ricambiò il mio saluto con un ampio sorriso, come quelli che lui sapeva donare a chiunque incrociava la sua strada. Forza dell’umiltà e sensibilità d’animo.
Quel giorno raccontai la mia esperienza ai colleghi ma senza enfasi, non mi ero reso conto di aver conosciuto personalmente uno dei più grandi tenori della musica lirica che il mondo abbia mai avuto.
Oggi a distanza di dieci anni dalla sua morte, ricordo quell’episodio con una certa tenerezza e mi ritengo un uomo fortunato per aver incrociato nella mia vita un uomo dalle dimensioni umane ed artistiche di enorme spessore.