Immaginate una classe con 17 bambini, di cui solo tre italiani. E di questi tre, uno ha la mamma peruviana. Immaginate una scuola in mezzo ad uno dei quartieri più difficili di Milano, dove su 480 alunni il 40% è «straniero». Una condizione eccezionale se si considera che la media milanese è del 18,6% (nel 2011). Immaginate dunque un edificio dove studiano, mangiano e si rincorrono bambini di 25 etnie diverse. Non state immaginando la Milano del 2050 ma la Milano di oggi. Quella di via Dolci, dove sorge l’istituto comprensivo Cadorna, la famosa «scuola ghetto» che raccoglie due fette di territorio. Da una parte la zona Fiera con le sue famiglie agiate e dall’altra la zona San Siro con le case popolari. Ma la scuola di via Dolci oggi è riconosciuta da quasi tutti come una «ex» scuola ghetto.
ITALIANI DI RITORNO – Da questa scuola gli italiani fuggivano. Adesso ritornano. Grazie a laboratori, teatro, maestre in gamba e genitori in prima linea. «Dentro è talmente bella che è stata richiesta per farvi un servizio di moda», dice fiero il preside. «Magari ai nostri tempi avessimo avuto noi questa occasione – racconta un papà davanti all’ingresso –. Troppi stranieri? Sono nati qua, sono italiani. Uguali a noi». Un nonno tentenna: «Cosa facciamo? Non possiamo mica mangiarli. È il mondo del futuro».
I PROBLEMI – Ma i problemi non sono di colpo cancellati. In passato la scarsa conoscenza della lingua da parte dei genitori dei bambini stranieri produceva conseguenze negative sull’esperienza scolastica dei figli. Adesso, grazie all’attivismo dell’associazione dei genitori che stimola la partecipazione ai momenti di incontro tra scuola e famiglia, le condizioni di disagio sono diminuite. «Non avevamo scelta, bisognava darsi da fare», confida una madre italiana. Ma anche i problemi del quartiere si riflettono a scuola. «Ci sono bambini che hanno gravi problemi familiari». E ci dice sottovoce: «Tanti bimbi di lingua straniera causano un ritardo nello svolgimento del programma a tutta la classe. Le maestre sono costrette a rallentare ed aspettarli. Questo è un prezzo altissimo».
«IUS SOLI» – Nessuno lo pronuncia ma è la chiave di tutto. Nella scuola più multietnica di Milano parlare di «Ius soli» è tabù. Eppure nella quinta B su 17 alunni «solo» tre sono italiani. «Ma se lo ”ius soli” fosse legge, su 17 alunni gli stranieri sarebbero… zero. Questi bambini parlano italiano, tifano per Inter e Milan. Bisogna distinguere tra il concetto di straniero è quello di etnia. Se non si considerassero stranieri i bimbi nati in Italia la percentuale degli stranieri sarebbe il 5%», spiega il preside dal 2006 alla Cadorna.
IL PRESIDE – A capo di questa «babele» dove tutti si guardavano con sospetto è stato chiamato Giovanni Del Bene (nomen omen?) sulle cui spalle gravano oltre alla scuola statale dell’infanzia (60% di stranieri) e la scuola primaria di via Dolci, la scuola primaria Martin Luther King situata in piazza Santa Maria Nascente e la scuola secondaria di primo grado Ricci in via Lovere. In totale 1000 alunni. Come se non bastasse, da quest’anno il provveditorato gli ha «accollato» la reggenza di altre 5 scuole. Tra queste anche il plesso di via Paravia (quartiere San Siro) dove nel 2009 la concentrazione di stranieri nella classe prima arrivava al 96% (secondo uno studio della professoressa Francesca Cognetti del Politecnico di Milano). Totale alunni da gestire? Duemilaetrecento!
IL FUTURO – Quest’uomo di 67 anni, ad un anno dalla pensione (se non gli chiedono di rimanere…), ci accoglie nel suo ufficio dopo aver fatto il giro «telefonico» delle sette chiese, anzi delle otto scuole.
Che fine ha fatto la soglia del 30% di stranieri per classe che voleva l’ex ministro Gelmini?
«Ad inizio d’anno chiediamo sistematicamente al provveditorato l’autorizzazione a sforarla. E puntualmente la otteniamo perché quella della Gelmini era solo una indicazione. Ma soprattutto perché i bambini stranieri parlano già italiano. Per di più in inglese sono più bravi loro».
Ma tanti stranieri non ritardano l’apprendimento degli italiani?
«In questa struttura su 480 bambini ne abbiamo solo 5 di lingua straniera appena arrivati. E poi è dimostrato che dopo un primo periodo di adattamento si recupera l’eventuale gap. Abbiamo smontato lo stereotipo, poi l’ansia, infine la paura. Nel contempo abbiamo creato un motivo di interesse. Il vero lavoro è stato fatto con i genitori stranieri e per loro abbiamo sviluppato tante iniziative per integrarli con i genitori milanesi, vedi i corsi pomeridiani per mamme e papà stranieri. Adesso gli italiani delle scuole private sono tornati a iscrivere i propri figli da noi».
Come definirebbe la sua scuola?
Ci pensa un po’ e poi: «Siamo la scuola del futuro. Ci dobbiamo rendere conto che l’Italia come razza tra 40 anni non esisterà più e le scuole saranno come siamo noi adesso».
Fonte: Corriere.it