Erano come al solito le prime luci dell’alba quando la piccola chiesa fu pervasa da uno strano tramestio: le poche candele ancora accese lasciavano intravedere una indefinita figura che si aggirava nervosa tra armadi e panche, aprendo e chiudendo con palese agitazione cassetti e stipi.
“Allora la casula l’ho presa, la stola pure; la cotta l’ho messa sotto a tutto; la mitria sta qui. Che ci manca?…” andava mormorando tra sé e sé.
“L’aureola, cacchio: l’aureola dove l’avrò messa. Qui non la trovo: e senza l’aureola non mi riconosce nessuno… Come devo fare?….” .
Così, tormentandosi l’anima, riprese la ricerca aprendo e chiudendo per la decima volta tutti i cassetti, le ante, gli sportelli e sollevando le suppellettili presenti. Alla fine, esausto e ben conscio del pericolo che correva, si avvicinò discreto e silenzioso (si fa per dire) al fratello che se la dormiva di grosso.
Con voce inizialmente suadente e di basso volume mormorò;
“Damià, Damiaà, bell d’o frate, scetate ià…. mica sai add’o sta la mia aureola? Iamme, Damià, famme sapé…”.
“Ma che è, ch’è stato? Che è succiess? Che ore so’? “
“Ehhh, Damià, quante domande! So’ le cinque e mezza!”
“Puozz schiattà, Cosimì; ma che te manca a ch’est’ora?”
“L’Aureola Damià, mi manca l’aureola. E senza aureola non mi riconoscono. Non mi fanno entrare: per noi santi è un poco come il green pass. E io mò comme facc?”
“Cosimì, ma chi cacchio t’adda vedé a ch’est’ora ‘e notte? Duorme”.
“Nooo, e se mi incontra qualcuno?”
“Ma chi t’adda ncuntrà, Cosimì. Ma dove devi andare?”
“Me n’aggia scappà, Damià. Me n’aggia fuì ‘a chisto schifo ‘e paese. Hai capito: m-e n-e d-e-v-o
a-n-d-a-r-eeeeee!”, queste ultime parole le scandì con profonda convinzione, “non ce la faccio più a vivere int’ ‘à mmunnezza! Basta!”.
“Ohhhh. E tu mo’ te ne accorgi? E’ da tanto tempo che le cose stanno così…”.
“E’ vero. Ma ad un certo punto basta! Quando poi quelli che direttamente o indirettamente hanno fatto i danni negano le loro responsabilità e pretendono anzi di essere i soli in grado di ripararli, allora non se ne può proprio più, e chi se ne può andare se ne vada, senza misericordia. Ed io…può!”
“ Ma perchè dici ciò?”
“Perchè cambiano i burattini, ma i loro fili restano sempre in mano agli stessi burattinai, che fanno e sfanno a loro piacere, per loro interessi, aumentando il peso delle famiglie che governano malamente questo paese da decenni e decenni.”
“E non si può far niente per cambiare?”
“Niente Damià, niente: perchè quelli per sopraffare usano sempre gli stessi metodi, e quelli che godono a farsi sopraffare ci credono e si rallegrano ad esser presi per i fondelli. Ed alla fine fanno pure vedere di lamentarsi. Ricordi quel che diceva Frà Giuseppe: è più furba la volpe o chi l’acchiappa? Cioè la colpa del disastro nostro ricade su quelli che sanno infinocchiare o su quelli che si lasciano infinocchiare? Ià, dimmi tu, coraggio”
“Ma tra poco ci stanno le nuove elezioni, potrebbe cambiare qualcosa”
“E proprio di quelle sto parlando, della loro inutilità, perché al posto dei padri ci saranno i loro figli, ben addestrati ad agire e promettere allo stesso modo, quasi per ereditarietà caratteriale. Se guardi qualche lista te ne rendi subito conto. La “base” parentale ed amicale su cui sovrasta sempre la stessa punta: una piramide inesorabile!”
“Cacchio Cosimì, come parli bene. Aspetta che mo’ t’aiuto a cercare l’aureola… Anzi, vuò sapè ‘na cosa? Mo vaco a piglià pur ‘a robba mia e preparo pur’io ‘a valigia. Addò aggio messa ‘a cotta? … Ah, eccola qua….. Iammucenne Cosimì, iammucenne tutt’e ddui ‘a sta munnezza ‘e paese.
Mo’ ‘a prossima processione se la fanno col ca…!”
“Damià e che sso ‘ste parole?”
“Ma che hai capito, Cosimì? Se le fanno con ca…rro vuoto, perché noi non ci saliremo sopra. Ià, ià, facimm ampressa”.
E presero il volo, non prima di aver sorvolato bassi il paese che avevano, ricambiati, tanto amato; o, meglio, ciò che restava di quello sfortunato paese.
Claudio Gliottone