Nel portico della cattedrale due sfingi si godono il caldo d’estate,
ad attendere una rivalutazione scenografica. Il Vescovo è d’accordo,
il prelibato architetto episcopale pure, Walter non si capisce, è
piuttosto vacillone. Si attende solo l’ora di Dio. Le ho riviste da
poco, l’altro ieri e ho visto pure il pregevole architetto col naso per
aria e un signore al suo seguito, che mi si è presentato come il
fratello di Anna Izzo. Ho subito imbeccato l’impagabile Di Sano :”
Visto che Walteruccio non se ne importa che le sistemi messer Izzo. Di
Sano ha sbadigliato annoiato e ha replicato : …poi Walteruccio si
piglia collera. L’ho presa come una freddura e ho tirato dritto.
Sconcertato. Convinto ancora di più che le cose gratuite sono
inapprezzate. Va bene mi regolerò…Iside era venerata anche a Teano,
dove le fu costruito un monumentale complesso di culto con fondata
certezza di aspetto nobile e maestoso, con largo impiego di materiali
di grande effetto. Un lseion, come era chiamato il santuario dove
si celebravano i riti e le pie devozioni alla dea del Nilo,
influenzate da una contaminazione tolellenistica.
Già il Can. De Monaco, aveva sostenuto in Teano osco e romano l’ipotesi
dell’esistenza di un Serapeion come a Pozzuoli, sottoposto o eretto
nei pressi del nostro duomo. A tale ipotesi si sono accodati Sirano
pompeiano, a degli acuti l’archeologo Werner si f.m. e De Caro.
Durante la ricostruzione della cattedrale, infatti, si ritrovò una
platea in blocchi tufacei ascrivibile alle fondazioni di un ediflcio
pagano preesistente (Johannowsky, Relazione preliminare sugli scavi di
Teano, Boll. Arte 1963, pag. 131, nota 7). Come se non bastasse, la
cattedrale stessa presenta testimonianze evidenti e, alcuni documenti
materiali marmorei del giardino dell’episcopio ne fanno fede.
Di considerevole potenza evocativa, due granitiche sfingi sono a
sentinella della porta prima del sacro edificio, come già dovettero
esserlo già del ricco Iseion. Due sornioni gattoni, abbastanza ben
conservati a dispetto delle ingiurie del tempo e degli uomini
osservano con impassibile noncuranza lo stanco avvicendarsi di
fedeli, pellegrini, visitatori e boccaperta occasionali che ne
penetrano ignari le luci ed ombre. Sono entrambe su due bassi
plinti, in postura ieratica, il corpo felino dalle forme
naturalistiche scultoreamente modellate, la tenue curva della criniera
sottilmente scolpita. La coda risulta ritorta sul corpo. La testa
umana dalle grandi orecchie a sventola abbozza un enigmatico sorriso.
Quella di sinistra risulta, invero, discretamente erosa. Logorata da
calamità, consunta dal tempo? La sfinge, che di solito riproduceva il
volto del Faraone del tempo, nel nostro caso rivestiva funzione
apotropaica, in parole povere serviva a evitare un’influsso magico
negativo. Non dimentichiamo il rilievo preponderante e ossessivo che i
rituali magici rivestivano nell’Egitto faraonico, affiancandosi a una
fervida religiosità paludata di mistero e fluttuazioni fortemente
mistiche (vedasi Hilary Wilson, I segreti dei geroglflici, Roma 1988, o
il più famoso Boris de Rachewiltz, Egitto Magico religioso, Città di
Castello 1997, o ancora il mio indimenticato maestro di egittologia
Claudio Barocas, L’antico Egitto, Roma 1984, tanto per dare qualche
sommaria indicazione). Prodotti in due o più esemplari questi
fantastici animali erano posti ai lati di strade o ingressi.
realizzati per lo più in granito o altre varietà di pietra colorata.
Le nostre sfingi trovano una solida verosimiglianza con quella
riproducente il volto insondabile di Amenhemat II, ureo, barba finta
e cartiglio imperiale a parte, simboli ufficiali della divina regalità.
Diversi ritrovamenti archeologici nell’area della cattedrale,
potrebbero trovare logica giustificazione nella presenza di veterani,
convertiti durante il servizio militare in Oriente, con la la
frequentazione assidua di Teano, cosmopolita e strategicamente vitale,
da parte di mercanti e una fauna eterogena di orientali e anche con
la presenza forse stabile di comunità levantine.
Altri possibili segni dell’esistenza di uno splendido Iseion decorato
da marmi esotici e altri materiali di valore li troviamo negli urei
inseriti negli ombrosi recessi della fin troppo trascurata cripta di
S. Paride, in quelli infissi nella parete del campanile ripartiti da
un sistro, strumento rituale usato dai fedeli e dai sacerdoti della
dea. Ancora possiamo scorgerne tracce nel labrum ritrovato nel 1960,
interrato sotto il pavimento della cantoria , ora nel giardino
episcopale che funge da portavasi e da una marmorea copia della statua
di S. Paride riadattata da un’effigie senatoria. Ritroviamo ancora,
forse, un’ombra del santuario isiaco nel frammento di fusto di colonna
in granito rosa, infisso nel lago d’erba e fiori del giardino
vescovile, speculare languore lapideo delle due sempre + simpatiche
sfingi.
Vedremo presto questi artistici manufatti trovare una loro
dignitosa rivalutazione? Solo Dio lo sa; e forse anche Iside.
Buone vacanze. amici Lettori e arrivederci in Autunno
Giulio De Monaco