Viviamo ore di profonda crisi economica, dove grandi menti si interrogano sui postulati del pensiero economico-politico e sulla loro idoneità concreta allo sviluppo produttivo e ad una maggiore capacità di distribuzione del reddito. Ci si interroga sul ruolo dello Stato in economia: regolatore o soggetto economico attivo? Si cerca di aprire nuovi fronti per l’accesso al credito, edificare nuovi percorsi per l’aumento di produttività, occupazione e consumi mediante nuovi strumenti giuridici ed economici. Abbiamo vissuto ore di crisi politico-istituzionale segnate dalla febbre famosa dello spread, dove in ogni luogo pubblico o aperto al pubblico diveniva, grazie alla imperante speculazione mediatica, oggetto di discussione.
Molti sociologi sottolineano, a seguito della crisi, un maggiore interesse per le dinamiche economiche e un comportamento più virtuoso da parte dei consumatori. Altresì sottolineano un lieve "riavvicinamento" alla politica per quanto ne concerne i giovani. Un interesse, che non si esplica mediante i partiti, ma attraverso altre forme sociali che concorrono al bene comune. Nonostante le tante difficoltà economiche, alcuni giovani, non desistono dall’iniziativa economica d’impresa. Iniziativa intrapresa nella nostra realtà in particolare nell’agricoltura. Un campo ove il rischio d’impresa è molto alto: basti pensare ad una semplice grandinata o altro evento atmosferico violento, che può destabilizzare la produzione ordinariamente prevista. Le difficoltà sono molteplici: mancanza di adeguati incentivi economici per l’iniziativa d’impresa giovanile, alta burocratizzazione, difficoltà notevoli di accesso al credito e costi di produzione alti. Difficoltà enumerate a titolo semplificativo, ma l’elenco ha tante altre voci. Queste difficoltà sono percettibili trascorrendo un paio di ore nelle tante imprese agricole teanesi, che compongono con il settore terziario il tessuto economico sidicino, data la grave assenze di industrie.
Nonostante le criticità economiche vorrei spostare l’attenzione sul prodotto. Un fascio luminoso, che illumini la nostra pesca, la nostra castagna, le note qualità delle noccioline e la nostra tipica mela annurca. Prodotti autoctoni della nostra realtà, che non riescono ad aprirsi una strada nella valorizzazione. Le nostre sono piccolo o medie imprese agricole, i nostri imprenditori quotidianamente combattono per vendere le pesche a più di 3 centesimi al chilo. Il singolo non ha, ne può avere a questa condizioni un maggiore potere di mercato. L’imprenditore, produttore della mela annurca pur di coprire gli alti costi di produzione e commercializzazione svenderà il suo prodotto a danno della valorizzazione. Il quadro reale è che i nostri imprenditori agricoli a breve diventeranno, se non lo sono già, schiavi dei grossisti e dei pescecani del mercato. Ognuno di esso vedrà ledere la propria dignità d’uomo, di imprenditore e di lavoratore alla luce delle dimensioni delle imprese. E’ necessario adeguarsi al mercato, essere attori principali e non inseguitori. Una strada potrebbe essere percorsa attraverso la costituzione di consorzi tra imprenditori. Consorzi organizzati per l’esercizio di una o più fasi dell’attività d’impresa. Una organizzazione che può riguardare la commercializzazione, meccanismi e controlli di standard di qualità, trasporto, innovazione, accesso al credito e soprattutto la vendità comportando un maggiore peso nei rapporti economici con i terzi.
Il passo non è semplice, soprattutto per la cultura purtroppo imperante nella nostra realtà di diffidenza e guerra plurisecolare col proprietario del fondo contiguo al nostro. I giovani impegnati nel mondo della imprenditoria devono cogliere l’occasione per non annegare nel mare magnum del mercato e superare la mentalità locale gettando lo sguardo oltre il proprio confine.
Giuseppe Scala