Francesco Mastriani resta sempre d’attualità: certo i suoi testi a me risultano in qualche passaggio un po’ indigesti (il Libro Primo è un’icona alla “virtute” e al “timor di Dio”), ma quando affronta la storicità dei fatti e della societàà di allora è molto zelante, riflessivo…quasi innovativo.
Tratto da “I misteri di Napoli”, Francesco Mastriani, 1875
Libro Secondo, La Mal’aria, Capitolo I
“I ricchi non conoscono i due più fieri flagelli onde sono torturate milioni e milioni di umane creature: il Freddo e la Fame.
Sono due agonie, che hanno presso a poco gli stessi caratteri, quelli della morte, l’immobilità, il pallore, la stupefazione. Nelle grandi città, dove ad ogni passo è una bottega in cui si vendono vettovaglie o un mercante ambulante di cose da mangiare; dove ad ogni canto di via è un caffè od un ristoratore; ove l’arte dei cuochi fa miracoli per far venire l’appetito a quelli che l’hanno guasto per eccessi di gozzoviglie e di stravizi, nelle grandi città la fame e il freddo non dovrebbero essere che due mezzani di nuovi piaceri; la fame, anzi, è desiderata da quella turba di parassiti in cravatta bianca che circondano le splendide imbandigioni.
Nelle grandi città un gran numero non muore né di fame né di freddo, perché ci sono altre due F che salvano da queste morti: il Furto e la Frode.
Nelle grandi città non si vede nessuno che cammina nudo per le vie o che caschi a terra morto per assoluta inedia. Ci sono per la povertà luoghi pii, stabilimenti di beneficienza, ospizi di carità, asili per la mendicità. E la carità del prossimo? E la compassione così innata nei cuori? Vedete dunque che nelle grandi città non si può morire né di freddo né di fame – dicono gli ipocriti. È vero; i bari, gli affaristi, i truffatori, i ciarlatani, i ladri, i ruffiani e le prostitute si salvano tutti più o meno da queste due agonie. Ma, gli onesti? La carità pubblica e privata li salva? No, rispondiamo noi senza tema che altri possa dare una smentita alle nostre parole.
Il freddo e la fame mietono ogni anno un buon terzo della popolazione di una vasta e civile città capitale.
Le morti che avvengono per freddo e per fame non sono di quelle che i medici denunziano alle autorità municipali. Si muore, è vero, di tisi, di tifo, di colera, di apoplessia, di febbri reumatiche, gastriche, di convulsioni epilettiche e di altri infiniti malori; ma si muore con un nome di morbo creato dalla scienza medica; si muore civilmente.
E sapreste dirmi, signora scienza – domandiamo noi – perché su cento poveri ne muoiono una trentina all’anno per febbri reumatiche e gastriche, per tisi e per tifo? Non vogliate schermirvi, signora scienza; riconoscete per cause efficienti di questi morbi e di queste morti il freddo e la fame.
Ciò nonostante, nessuno dice: Quel povero muratore o quella misera tessitrice sono morti di freddo e di fame; ma invece dirà, secondo il certificato del medico, che il povero muratore è morto di polmonite e la misera tessitrice è morta di consunzione.
Noi facciamo a gara per burlarci l’un con l’altro in questo burlesco mondo. La verità ci sfugge da tutti i lati; e, quando crediamo di afferrarla, abbranchiamo invece una larva. I governi ingannano i popoli, e questi ingannano quelli. La luce è importuna ai pipistrelli.
La verità produce il freddo e la fame.
La bugia produce i tappeti e i timballi.
Dunque, morte alla luce ed alla verità.
Adoriamo le larve, le maschere, le bugie.
Ecco il culto del mondo.
CLAUDIO GATTA, Il Librovago