Un tempo, quando le strade erano tutte bianche ed i mezzi di locomozione erano un privilegio di pochi,le scarpe erano in un certo qual modo paragonabili ad un mezzo di trasporto: un bene prezioso e costoso, poiché non esistevano i modernimateriali né gli avanzati processi industriali che rendono il prodotto molto economico; inoltre, poiché si usuravano molto più facilmente rispetto ad oggi, richiedevano anche una frequente manutenzione.
Per queste ragioni, nella Teano degli anni ’50, periodo in cui la popolazione era superiore a quella attuale solo di circa duemila unità, vi erano tra le venti e le trenta botteghe dedicate alle calzature, tra calzolai, solachianelle e scarpari, in gran parte concentrati in quella che è sempre stata Via Nicola Gigli ma, proprio per questo, più nota come discesa dei calzolai.
Mentre il ciabattino o calzolaiosi limitava a riparare, lo scarparo era colui che materialmente le produceva. Poi, come figura professionale intermedia, vi era il cosiddetto solachianelleche, oltre a riparare, così come faceva il calzolaio, era anche produttore di rudimentali e semplici calzature aperte dette appunto chianelle.
L’attività di riparazione era abbastanza semplice, il più delle volte si limitava all’apposizione della cosiddetta ‘mposta, cioè la pezza che andava a coprire la parte che più si usurava, quella centrale alla pianta del piede. Ma quella dello scarparo era una vera e propria arte, che richiedeva esperienza, manualità e maestria.
La tomaia, realizzata con pezzi interi di pellami vari, veniva accuratamente sagomata e fissata alla forma in legno, poi cucita, rinforzatae rimodellata. Ma il pellame, materiale del tutto naturale e quindi non omogeneo, non sempre e non dappertutto acquisiva la forma desiderata e quindi, ogni paio di scarpe commissionato, dopo la prova al piede, richiedeva sempre qualche ritocco o modifica; ciò avveniva con i sistemi e gli arnesi più diversi e, spesso e volentieri, con ripetuti interventi. Tutto questo avveniva anche a prescindere dall’abilità dell’artigiano nell’impostazione iniziale della forma, poiché era fisiologica l’imprevedibilità del risultato, ma alla fine, in un modo o nell’altro, l’artigiano riusciva sempre a trovare il giusto rimedio ad ogni imperfezione.
Queste le ragioni per le quali lo scarparo, per definizione, è un po’ l’impreciso, colui che non l’azzecca mai al primo colpo e va a tentativi, aggiusta, adatta ed arrangia: ecco il perché, ancora oggi, se si vuol offendere un medico lo si paragona allo scarparo. Infatti, dal medico non ci si aspetta certo che vada a tentativi per poi mettere pezze, colle o rattoppi. Quindi, tale paragone, di certo non deve intendersi come generale denigrazione di questa categoria di artigiani che invece, seppure oggi soppiantata dalla produzione oramai esclusivamente industriale, ha una storia ed una tradizione di tutto rispetto.
Ma a Teano ancora oggi resiste un’ultima bottega dove, pur praticandosi solo riparazioni, restano intatti i materiali, gli arnesi e soprattutto l’orgoglio di una storica, importante ed affascinante tradizione. E’ “LA RAPIDA”, di Antonio Pirone, che conserva fiero i suoi gugni, le forme, i tiraforme, le tomaie e tutto quanto lo ha accompagnato nei suoi quasi cinquant’anni di attività, che ancora oggi svolge con passione e soddisfazione. Solo una cosa lo rattrista: l’idea che, molto probabilmente, dopo di lui a Teano non vi sarà più nessuno a dare continuità al mestiere, gli sforzi e l’esperienza di una vita.
Gerardo Zarone