Un padre ed un figlio in viaggio su di un carro trainato da un cavallo, all’imbrunire, su una strada bianca, accompagnati dal cigolio delle balestre e dai mille tintinnii della merce trasportata e con la smorfia sul viso per il levarsi della polvere, armati dell’occorrente per trascorrere la notte all’aperto oltre che di tante buone speranze per l’indomani. Questa che sembra una scena da film western in realtà altro non è che l’immagine classica di due commercianti del napoletano, negli anni 50, diretti al mercato di Teano.
Negli anni 50a Teano il commercio, l’artigianato e l’agricoltura, quindi più generalmente l’economia del paese, erano molto influenzate dal mercato del sabato mattina. Il nostro mercato era all’epoca certamente tra i più importanti dell’alto casertano.
Al tempo, fatta eccezione per i pochissimi fortunati possessori di automobili, la scala sociale degli avventori del mercato era suddivisa in tre sostanziali categorie: quelli che avevano il cavallo, quelli con somari o muli e quelli costretti al tacco e sola, spesso e volentieri anche in precarie condizioni.
Le potenzialità di tali mezzi, soprattutto per i numerosi mercanti che provenivano dal lontano territorio napoletano, imponevano di anticipare la partenza al giorno precedente. Così il movimento cittadino aveva inizio il venerdì, quando i primi venditori approdavano prima possibile per sistemarsi nella maniera migliore. La maggior parte di questi, dopo aver impegnato le rispettive postazioni, portava prima di tutto il cavallo al riparo in una delle stalle presenti in piazza Marconi e poi si ricavava un giaciglio generalmente sotto la bancarella stessa, in modo da poter trascorre la notte riposando ma pur sempre a guardia della merce.
Ovviamente, ai mercanti locali, che proponevano soprattutto verdure ed ortaggi grazie alla ricchezza di acqua che a Teano favoriva enormemente certe colture, per l’arrivo bastava anticiparsi di quel poco che occorreva per organizzare il banco e quindi, con un minimo sforzo, avevano la possibilità di esporsi per la vendita alle migliaia di persone che giungevano da tutti paesi limitrofi.
La grande affluenza di gente favoriva naturalmente anche gli artigiani, i bottegai e le numerose taverne e cantine i cui gestori, seppure la settimana fosse andata male, a fine sabato riuscivano sempre a far quadrare i conti.
Ridisegnare una mappa del mercato di allora è abbastanza semplice. Provenendo da Caianello e sin dall’uscita delle curve successive al Ponte degli Svizzeri, a ridosso del muro a destra di via XXVI ottobre, vi erano adagiati, a mo’ di parcheggio, i tanti cavalli e carretti di chi proveniva da quel versante e, proseguendo a piedi alla volta del mercato, lasciava il proprio mezzo di trasporto alla cura di un certo Carlino, maniscalco con la bottega posta nella parte più alta della stessa strada eche di sabato, aiutato da qualche collaboratore, offriva una sorta di servizio di rimessaggio ed eventuale manutenzione agli zoccoli dei quadrupedi.
Risalita di poco la strada, si era già nel vivo del mercato poiché nello spiazzo del macello vi era concentrata la vendita di animali da cortile e da allevamento.
Giunti a Piazza Marconi si era proprio nel cuore del mercato: al centro vi erala fontana delle sette cannelleche dava ristoro come abbeveratoio agli animali appena giunti;sui lati, gli accessi alle taverne Tabellario e Schitto; di fronte la visuale del risalire del fitto mercato di frutta e ortaggi al di sopra del Muraglione,mentre di sotto e quindi su viale Europa, un altro maniscalco, taleVincenzo, operava sul viale fino a giungerealla Vasca, zonaove si vendevano invece i semi e l’occorrente per ripiantare ortaggi e verdure.
Lungo viale Italia invece, che era più marginale al mercato, a partire dal Largo Croci, erano concentrati i somari degli avventori del mercato. Gli stessi animali erano affidati alla custodia di un certo Pietro, ulteriore maniscalco ma specifico di quel settore.
In Piazza Vittoria e Piazza Umberto vi era invece in vendita un po’ di tutto, mentre nel Corso Vittorio Emanuele prevalevano bancarelle di stoffe varie o abbigliamento e la Piazza Duomo era interamente dedicata alle calzature. Ma le scarpe, oltre che riparate, venivano anche prodotte artigianalmente da alcuni fra i tanti calzolai della odierna via Nicola Gigli che prima era denominata proprio Discesa dei calzolai.
Insomma l’intera cittadina era interessata dal mercato, sommersa dagli odori, quasistordita dai rumori e dalle grida dei venditori, ma pervasa da una grande vitalità. Tutto questo perché, a dispetto della profonda povertà del periodo,la cittadina era molto più piccola di quanto non lo sia adesso ma il mercato era più grande di quello attuale.
Siamo nel 2011, di sabato mattina a Teano: tiepide bancarelle adagiate in comodi spazi e confinanti sempre più spesso con piazzole libere; il leggero vocio che può produrreuna modestissima quantità di persone che sembrano presenti quasi come trascinate da un antica abitudine. La gente sembra quasi non andare più per comprare e i venditori, quelli che resistono, sembrano non presenziare più per vendere ma per consuetudine.Così,contemporaneamente, si riducono richieste ed offerte e alla fine conviene andare sia ad acquistare che a vendere altrove.
Questo è l’attuale mercato di Teano, un malato in agonia, come un vigoroso gigante oggi scarnito e pallido, perché non ha saputo curare la sua malattia come altri hanno saputo fare. La malattia altro non è che il mutamento delle abitudini e delle esigenze di questa società, perché altri mercati anche limitrofi hanno resistito all’avvento dei centri commerciali.
Forse non esistono veri colpevoli, forse la crisi del mercato è solo un altro effetto di un malessere generale della collettività nel rapporto con la sua città e che rende quest’ultima spenta, fredda e poco accogliente. Come una famiglia che non riesce a godersi la propria casa e preferisce vivere più tempo fuori trascurandola. Teano, in particolar modo al sabato, era il luogo in cui si giungeva mentre oggi è quello dal quale si sfugge o addirittura si fugge, una destinazione che è divenuta un luogo di partenza.
Probabilmente, come spesso accade, il racconto e la nostalgia rendono il passato più bello di quanto lo sia stato in realtà ed il confronto con l’attualità magari rende il presente peggiore di quello che è, ma una cosa è certa: Teano ha perso tanto, continua a perdere e potrebbe essere molto più frequentata, molto più viva e molto più vissuta dagli stessi cittadini.
Gerardo Zarone