Ero solo un bambino quando ci presero e ci portarono in un campo di concentramento in Germania per poi fare di noi ciò che volevano.
In treno avevo conosciuto due fratelli gemelli, poi quando arrivammo nel campo non li vidi più. I miei genitori mi avevano promesso che non mi avrebbero mai lasciato per nessuna ragione al mondo, ma appena ci fecero scendere, dopo nemmeno cinque minuti, ci separarono subito per mandarmi in una baracca con gli altri bambini.
Passarono molti giorni, io e gli altri bambini eravamo fuori un ambulatorio, in fila. Mentre aspettavamo, vidi mia madre senza più i suoi bei capelli ricci e biondi: era una donna ormai all’estremo delle sue forze, riusciva a malapena a stare in piedi. Non la chiamai per non metterla in pericolo. All’improvviso cadde per terra, così arrivò un soldato e incominciò a tirarle dei calci nello stomaco, per poi alzarla e dargli una bastonata in faccia.
Quando vidi quella scena, il soldato ci stava portando via e, mentre ci mettevamo in marcia, lei mi notò e mi fece un sorriso. Mentre le usciva sangue dalla bocca, mi salutò con la mano.
Eravamo appena entrati dal dottore, anche se in quel momento non pensavo minimamente a dove eravamo ma pensavo a mia madre e alla sua forza di mandarmi un sorriso e un saluto. Pensai tra me e me, che lei mi avesse visto con gioia, ma che certamente non avrebbe voluto farsi vedere cosi.
All’’improvviso entrarono i due gemelli che avevo conosciuto in treno. Li misero su un lettino, il dottore prese una siringa e ne iniettò il contenuto sui due gemelli. Dopo pochissimi minuti, i due incominciarono a tremare e a dimenarsi, fino a che il dottore corse e con grande violenza inietto sul loro petto, più volte, altre sostanze. Noi eravamo terrorizzati da quella scena e non comprendevamo le ragioni di ciò che stava accadendo, cosi un bambino mi disse che i gemelli servivano per gli esperimenti.
Era ormai arrivato il mese di gennaio e faceva sempre più freddo, io ormai ero diventato molto magro perché ci facevano mangiare molto poco.
Un giorno trovai morto il bambino che dormiva vicino a me. Così iniziarono i miei lunghi pianti, per quel bambino e per tutti gli altri che morivano giorno dopo giorno. Ho particolarmente impressa una scena in cui avevano malmenato un bambino per poi impiccarlo, solo perché aveva fatto cadere un mattone.
Un bambino italiano che comprendeva il tedesco, e che mi aveva raccontato di aver imparato quella lingua grazie a suo nonno che era un insegnante, mi traduceva tutto quello che dicevano i tedeschi. Si chiamava Daniel, aveva gli occhi azzurri e dentro di sé aveva una forza che nessun altro aveva. Per me era un amico molto speciale, con lui avevo legato molto.
I giorni passavano e faceva sempre più freddo, il vento molto forte e delle volte era molto violento.
Una mattina ci svegliarono molto presto. Nessuno di noi aveva dormito ed eravamo a digiuno da tre giorni. Ci fecero uscire e ci mandarono a sistemare i mattoni.
Avevamo una carriola per trasportare quei materiali pesantissimi. Stavo per mollare, stavo per cadere, quando Daniel da dietro di me mi disse che non avrei dovuto mollare per nessun motivo e non avremmo dovuto far vedere ai soldati che eravamo stanchi, non avremmo dovuto darla per vinta ai tedeschi.
Avevamo girato per un’ora e mezza con la carriola piena di mattoni che si faceva sempre più pesanti, ma nella mia testa rimbombavano sempre le parole del mio amico, cosi andai avanti senza lamentarmi.
Era finalmente finita la giornata e la sera ci diedero una minestra. Più che minestra sembrava una brodaglia andata a male, ma per noi era la più buona del mondo, non mangiavamo da tre giorni.
Era il 25 Gennaio quando i soldati vennero a prendere un paio di bambini per portarli a fare una doccia. Poi uno dei militari ci prese per il pigiama e ci portò vicino a un terreno. Ci buttò per terra, si fece consegnare da altri delle pale e ci disse di scavare una buca. Se ne andò e noi iniziammo a scavare con tutte le nostre forze.
Mentre scavavamo, parlavamo sotto voce per non farci sentire dai soldati. Daniel disse che aveva come un buon presentimento, poi aggiunse che essere ancora vivi in un posto come quello era già un miracolo, io gli diedi ragione perché era assolutamente vero. Cosi finimmo di scavare la buca e ci mandarono nella baracca.
Aspettammo per molto tempo ma gli altri bambini non arrivavano mai. Cosi, preoccupati, ci mettemmo a guardare dalla fessura della serratura. Si vedeva un enorme fumo nero e c’era un odore tremendo, cosi capimmo che non erano andati a fare una doccia ma erano finiti nei forni crematori.
Il mattino del 26 Gennaio c’era incredibilmente un bel sole e non c’era un filo di vento. Si stava particolarmente bene, cosi andammo fuori senza farci vedere e per la prima volta eravamo felici di vedere una cosa bella dopo aver visto tanti orrori di quel posto.
Quel bel momento finì presto, quando vedemmo un soldato infuriato perché eravamo usciti fuori. Mi prese per il collo e iniziò a parlarmi con tono minaccioso, ma Daniel gli disse in tedesco che era stata una sua idea quella di uscire fuori per prendere una boccata d’aria. Allora il soldato mi lasciò cadere violentemente a terra, poi spinse il mio amico dentro la baracca. A quel punto, per prima cosa gli tirò un calcio in faccia e poi lo colpì con un bastone sulla pancia. Dopo lo sollevò e lo spinse contro il muro e gli diede altri calci in faccia. Prima di andar via, si avvicinò a me e mi diede un pugno nello stomaco.
Mi rialzai immediatamente per avvicinarmi subito a Daniel e vedere come stava. Era pieno di sangue e non riusciva ad alzarsi, cosi lo feci appoggiare a me, anche se non avevo le forze, e riuscì a farlo sedere.
Gli chiesi come si sentiva e Daniel disse che aveva dolori dappertutto, ma non si voleva lamentare. Provò a rimettersi in piedi ma cadde, per poi rialzarsi appoggiandosi al muro.
Gli chiesi il perché mi avesse difeso in quel modo e lui mi disse che un vero amico lo avrebbe fatto. Lo ringrazia e lui disse che non avrei dovuto, perché anche io avrei fatto lo stesso per lui.
Era intorno alla mezzanotte quando sentimmo un forte scoppio che ci fece sobbalzare. Scendemmo piano e ci rendemmo conto che tutto stava per saltare in aria tutto e che i soldati tedeschi stavano scappando da ogni lato. Erano molto agitati ad alcuni stavano mettendo tutto al fuoco. Fecero scoppiare le camere a gas. Daniel capì che un soldato diceva che stavano arrivando i Russi e all’improvviso entrò nella baracca un tedesco e diede l’ordine a tutti noi di uscire fuori. Scendemmo e uscimmo fuori con quei pochi bambini rimasti e ci fecero mettere tutti in fila fuori per eliminare le ultime prove rimaste, quando scoppiò una bomba e i soldati diedero l’ordine di abbandonare il campo in fretta e furia.
Finalmente era spuntata l’alba e nessuno di noi era morto a seguito di quei disastri. Era un vero miracolo.
Chiesi a Daniel di andare a cercare i miei genitori e andammo tutti e due nell’archivio per vedere se c’era rimasto qualche documento su di loro. Scoprì che mio padre era morto di tifo e mia madre era stata uccisa da un soldato,
Daniel mi diede grande conforto, mi abbracciò e pianse insieme a me. Poi mi trascinò fuori dal campo.
In lontananza c’erano degli uomini a cavallo ed altri a piedi. Capimmo che erano venuti a salvarci.
Sono passati settant’anni da quando i russi liberarono il campo di Auschwitz e tutti noi eravamo di nuovo liberi di vivere una vita normale, ma senza mai dimenticare quello che avevamo passato in quel campo, nel vedere morire altri bambini davanti ai nostri occhi, persone impiccate solo per un banale sbaglio.
Oggi voglio ricordare quel 27 Gennaio, ringrazio Dio di avermi fatto trovare un amico in quel posto, che mi ha dato la forza di andare avanti e mi è stato vicino per tutto il tempo, grazie Daniel.
Per non dimenticare…
27 Gennaio 1945-2015
Cristian Boragine