Se l’era studiata proprio bene, Damiano, la struttura di quella chiesetta: del resto di tempo ne aveva avuto eccome. Erano mille e quattrocento anni che era la loro residenza.
Ne conosceva tutti gli angoli, il percorso dei raggi del sole mese per mese, la diffusione del calore e del fumo proveniente dalla candele ardenti, quali finestre aprire e quale angolazione dare ai listelli delle persiane per garantire il migliore afflusso di aria sì da creare quell’apposita “ventarella” refrigerante.
Ma le temperature medie delle ultime settimane, oltre che dare grande soddisfazione alle previsioni di Greta Thumberg, avevano messo a dura prova le capacità di sopravvivenza del vecchio santo. Aveva sistemato una vecchia sedia a sdraio proprio nel piccolo corridoio che dall’abside conduce alla sagrestia e vi sostava beato godendosi almeno quel piccolo movimento d’aria che si produceva tra due finestre poste una di fronte all’altra: avvalersi di un condizionatore era cosa insperabile, ed aveva fatto di necessità virtù. Qualche birra fresca, opportunamente tenuta in un contenitore termico, faceva il resto.
La siesta durava generalmente dalle ore della “controra” fino alle nove di sera: ma non era escluso che si protraesse per tutta la notte, innaffiata anche questa da qualche bionda Leffe.
Era accaduto così anche quel giovedì, complice la momentanea assenza di Cosimo che, data la circostanza , era andato a farsi un giro per il paese. Aveva tirato a far tardi indulgendo anch’egli a qualche estemporanea birretta, se ne festeggiava la “festa” (mirabile associazione di sacro e profano!), e, ritiratosi, si trovò la strada di accesso alla sacrestia bloccata dall’ingombro del suo collega dormiente.
Allora, con inusitata dolcezza, cominciò a scuoterlo:
“Damià, Damià, bell’ do’ frate, famme passà: Damià, iamme ch’è tardi…. Damià….”
“Uheeeeee: Ch’è stato; che succede; chi sei?”
“So’ Cosimo, Damiaà: me vuò fa’ passà, per piacere?”
“Sì, sì. Ma che ore so’ e addò si stato?”
“Sono le due, e sono stato prima a messa e poi alla processione di San Paride: domani è la sua festa, te ne eri scordato?”
“Uhhhh, hai ragione. Mo’ gli faccio gli auguri: anzi gli mando un whats-app. E come è stata la cosa? C’era gente? E’ stato contento?”
“Damià, a dire la verità, l’ho visto un poco incazzato, il pover’ uomo. Teneva na’ faccia bianca…”
“Ma quello perchè la sua statua è d’argento: mica come le nostre, lui è il Patrono! Aspetta mo’ lo chiamo col telefonino”.
Tirò fuori un arcaico trabiccolo e compose il numero:
“Pronto, pronto Paride: so’ Damiano, tanti auguri per domani; come stai, com’è andata la processione?”
“E’ andata Damià, è andata; nun me fa’ parlà chè sto incazzatissimo…”
“E perchè, Paridù, ch’è successo? C’era poca gente alla processione? Ti hanno strapazzato?…”
“Noooo. Ben altro, Damià, ben altro. I miei fedeli, lo sapete bene, sono molto meno dei vostri; me ne sono fatto una ragione, e perciò io voglio bene ai forestieri. Ma mò ci si mettono pure gli Amministratori a ridicolizzare una cosa seria… ma ti pare il caso?”
“Non so niente Paride: ma ch’è successo?”
“Hanno fatto uno show che non ti dico: da puro avanspettacolo: da morire dal ridere!
Pensa che in chiesa era presente il Gonfalone della città “da solo”, senza essere scortato o accompagnato, come da disposizioni ufficiali, né dai vigili, né dal Sindaco o da un suo delegato. C’era solo un portatore ch’è rimasto tutta la sera col cappello in testa, ed il Gonfalone si alzava e si abbassava all’alzarsi ed al sedersi dei fedeli, contro ogni etichetta di rappresentanza.
E poi alla processione tutti gli amministratori in abiti casuals; mi ha portato anche il Sindaco sulle spalle: che onore!!!!
E intanto dietro, a rappresentare ufficialmente il Comune, la fascia tricolore è passata, strada facendo, dalle spalle del Sindaco a quelle di ben altri tre amministratori!
Mo dico io: era la festa mia o quella degli amministratori? La gente doveva guardare me, o quello che facevano il Sindaco ed i suoi accoliti? Hanno approfittato dell’evento religioso per mandare strampalati, demagogici e populistici messaggi alla povera gente ancora fedele: ma che cazzo hanno voluto dire?….”
“Hueeee Paride, e che so’ sti’ parole in bocca a te? Hai ragione non si può stravolgere a piacere “la compostezza del ruolo”, che è fondamentale nel rispetto di normative e tradizioni stratificate nel tempo per giocare a mandare messaggi fuori luogo e fuori logica. Un’altra caduta di stile, ancor peggiore della prima! Ed il Vescovo, il Vescovo, che ha detto? Gli sarà passato per la mente il vecchio adagio: “scherza con i fanti, ma lascia stare i santi”?”
“Non lo so, Damià; non lo so: sicuramente non ne sapeva niente. Ma non è stata una bella “cacciata” quella che hanno fatto gli amministratori. “Est modus in rebus” : esiste una moderazione in tutte le cose! Lo diceva l’ epicureo Orazio duemila e passa anni fa!”
“E nessuno l’ha ancora imparato. Esuberanza giovanile? Futuro auspicabile ridimensionamento ed adeguamento allo stile richiesto dalle circostanze? Accadrà mai? Noi lo speriamo ancora!
Il problema è che le ultime generazioni si trovano improvvisamente a ricoprire ruoli e responsabilità per le quali non sono “adeguatamente” preparate; per preparasi a ciascun lavoro un tempo, quando esisteva l’andare a bottega, si esigeva l’apprendimento di teoria sì, ma anche di tanta pratica. Ogni mestiere richiede una propria tecnica, un proprio linguaggio, propri comportamenti, e se non si conoscono si rischia di far brutta figura. Un tempo esisteva una “scuola popolare” e le botteghe erano i partiti che insegnavano sì obbiettivi, ma anche metodiche comportamentali che oggi, per forza di cose, e lo si vede, si ignorano. Speriamo che almeno i benevoli “richiami” di chi ha vissuto anche altri tempi non siano equivocati nei loro intenti e siano fatti oggetto di fruttuosa attenzione. Almeno con questi auspici tiriamo avanti.
Buona notte Paridù, nun t’a’ piglià. Può accadere anche di peggio. Beviti una birretta, aiuta a calmare i nervi!”
“Statte bbuono, Damià. Buonanotte, e salutami Cosimo”.
Finì così quella calda notte del quattro agosto ultimo scorso.
Claudio Gliottone