E’ illusorio pensare che l’umanità possa imparare a non commettere mai gli stessi errori. Però non è detto che un po’ di memoria storica non serva quantomeno ad allontanarli nel tempo. Soprattutto la memoria storica recente dovrebbe servire a questo; ma pure ciò accade di rado; a volte è più facile che ci sovvenga la memoria lontana che non la recente, perché la quasi contemporaneità di quest’ultima ne provoca l’acquisizione solo dopo un discreto lasso di tempo, non prima di aver assunto, parafrasando il Manzoni, “corso e figura” di Storia. Non sarà perciò granché utile, perché non supportata da esperienza consolidata. Ci piace allora raccontare alle nuove generazioni, il cui cambio avviene oggi al massimo entro 25 anni, episodi del passato recente i quali, per unanime giudizio espresso al loro verificarsi, era auspicabile che non accadessero più. Un ricordo che certamente gioverà anche alle generazioni precedenti. Nel rispetto di queste premesse e delle loro finalità, racconto il fatterello. In tempi di “prima repubblica” , vale a dire di strapotere demo-socialista e di corruzioni e connivenze elette a sistema, esisteva, in una ricca e popolosa cittadina del Casertano, non tanto lontano da noi, un caro signore, che tale non era né per nascita né per censo e tantomeno per educazione, il quale, nel tempo e con compromissoria abilità, era diventato il “ras politico”, e non solo, della intera città. In essa non si muoveva foglia ch’egli non volesse, eppure non ricopriva e non aveva mai ricoperto alcuna carica politica istituzionale di grande importanza: era semplicemente il vicesindaco ed il segretario cittadino del partito di maggioranza. Cose che però, all’epoca, contavano e come! Manovrava l’elettorato e le liste da candidare e le maggioranze vincitrici; in virtù di tanto potere, nella realizzazione di un perfetto circolo chiuso, disponeva assunzioni e lavori pubblici, faceva concedere permessi commerciali ed edilizi, aperture o chiusure di negozi e via dicendo. Ma il bello era quando faceva ricorso a tutta la sua signorilità; quella di cui abbiamo parlato prima. Si racconta che quando saliva al comune ed entrava nella sala dove era riunita la Giunta, andasse diretto ad aprire la finestra esclamando: “Ma non vi accorgete di quanto puzzate? Sì, sì, puzzate”. Quanta edificante signorilità! E mai nessuno che gli avesse risposto, e meno che mai che gli avesse mollato un poderoso calcio nel sedere, cosa che io avrei fatto sicuramente, ma non prima di aver indossato dei robusti anfibi militari o degli scarponi da sci! E questa ignavia, questa mancanza di coraggio, questa incomprensibile viltà, accrescevano di volta in volta il suo potere e la sua sicurezza nel poter dire “puzzate”. Solo “mani pulite” riuscì a mitigare in parte il suo potere, al quale fu poi il Padreterno, ma con la dovuta calma, a metter fine. Ma un suo discendente che aveva intrapreso la stessa strada, perché certe cose si tramandano, finì degno ospite delle patrie galere. Così oggi, non conoscendo storielle come questa, può accadere, ad esempio, (o è accaduto davvero?) che un preposto, civile, militare, impiegatizio o politico che sia, possa con protervia dire a chi non è d’accordo con lui “io ti infilo con la testa nel cesso”. (Sic). Ma il grave, dopo un ulteriore salto generazionale, è che anche oggi quello che riceve la minaccia, per quanto possa essere un “sottoposto”, non vada subito ad indossare un paio di anfibi o di scarponi da sci per farne l’ottimo uso di cui sopra. E’ sempre quel maledetto “feeling” che si istaura tra vittima e carnefice; ma il grave è che la goduria della vittima a fare la vittima, non sempre riguarda solo lei. Il male peggiore si verifica quando la sua strana complicità con il carnefice si ripercuote sulla comunità. “E ho detto tutto”! Esperienze di vita; tutto qui. Ma spero proprio che chi abbia da intendere abbia inteso, una volta e per sempre, per sé e per buona pace di tutti noi teanesi! E per quest’ultima si attivi. Gliene saremo grati.
Claudio Gliottone