“ Ieri l’altro
ho visto sorgere il sole;
non più di tre minuti
per venire su
dal retro del monte.
Ci siamo guardati negli occhi
finché il suo crescente bagliore
mi ha concesso di farlo:
poi ho dovuto abbassarli,
felice di farlo,
perché lui era il sole!”
c.g.
Tanto l’insegnamento quanto l’apprendimento della Storia presentano spesso un pericoloso limite: quello di sorvolare, o quanto meno non approfondire come dovrebbero, il passato prossimo (intendendo per esso gli ultimi cento o cinquanta anni più vicini a noi), per spaziare, al contrario ed a volte con eccesso di zelo, su quello remoto.
Il limite, ovviamente, riguarda per lo più una precisa mancanza di volontà nello di studiare “sensu strictu” tutti i vari passaggi, ed i loro protagonisti, che più da vicino ci hanno portato ai tempi ed alle circostanze che stiamo vivendo.
A volte sappiamo tutto sulla vita delle “polis” greche, o delle dinastie dell’antico Egitto, dell’impero romano e dei viaggi di Marco Polo, della scoperta e della conquista dell’America, ma non sappiamo nei dettagli come è nata la nostra Repubblica, attraverso quali passaggi ed accordi politici, quali manovre di palazzo è stata realizzata; e sono sicuro che se chiedessi a qualche giovane d’oggi chi sono stati il primo Presidente del Consiglio o il primo Presidente (non provvisorio) della Italia Repubblicana, nata appena 76 anni fa, difficilmente otterrei una risposta esatta.
Va da sé che non sto parlando di “giudizi” storici , ma di semplici “notizie” storiche; perché i primi, per formarsi e per essere il più possibile vicini ad una veridicità la più ampia e condivisa, richiedono tempi lunghissimi, a volte secoli, e restano comunque passibili di “revisionismo”.
Ed è pur giusto, perché quello della Storia è uno studio “a posteriori” : cioè si studia un avvenimento od una situazione conoscendo già lo sviluppo che ha avuto, e porre un giudizio sereno su di essa è influenzato, se non inficiato, dal secondo, cioè dalla conoscenza delle sue conseguenze.
Per giunta, dei fatti più recenti esiste sempre una personale ed emotiva partecipazione in chiunque si accingesse a giudicarli, la quale potrebbe essere di carattere politico, o di schieramento, o di visione troppo contestualizzata ed ancora viva. Occorre allora che il tempo faccia la sua parte di galantuomo per il tramite di una necessaria stagionatura di quegli eventi. E questo è un bene.
Ma anche il riportare la semplice “notizia” può essere soggetto agli stessi inconvenienti, quando se ne vuole volontariamente evitare una formulazione di “giudizio”, che potrebbe essere, in un contesto non stabilizzato, contrario a visioni politico comportamentali del momento. A crear danno, in questo caso, è proprio la volontarietà del silenzio o del ridimensionamento della notizia perché ne rende poi molto più difficile la formulazione a distanza del “giudizio storico”. Questo per gli ovvi motivi di una alterazione di essa che si può attuare anche con il suo solo sottacimento dettato da motivi “di parte” .
Sicuramente pochissimi sapranno, ad esempio che, giusto per restare in argomento col nostro momento politico attuale, quando si trattò, ancora durante i lavori della Costituente, di eleggere il Presidente Provvisorio della neonata Repubblica Italiana, il Segretario Nazionale del PSI, Pietro Nenni, scrisse una sentita lettera al grande filosofo e studioso Benedetto Croce chiedendogli,a nome di tutta la Direzione del suo partito se “Ella lascerà porre la Sua candidatura alla Presidenza della Repubblica. Noi saremmo lieti di dare a Lei i nostri voti nella convinzione che (…) nessuno meglio di Lei può oggi, di fronte al mondo rappresentare l’Italia (…)”.
Il filosofo napoletano, Presidente del ricostituito Partito Liberale, rispose accorato ringraziando per la fiducia che la Direzione del Partito Socialista “ha voluto attestare alla mia persona” e, affermando di aver speso la vita negli studi e di aver “sempre badato a tenerla nei confini di quel che so e posso onestamente fare in relazione alla mia capacità ed alle mie forze”, rifiutò la candidatura!
Inutile ricordare, si spera, chi fosse Benedetto Croce, al quale già nel 1944 aveva scritto anche Albert Einstein parlandogli del “governo retto da filosofi” come auspicava Platone. Croce gli rispose che la filosofia non sarebbe tale se “oltre al suo ufficio” non conoscesse anche i “suoi limiti”.
E la conoscenza dei limiti non è impedimento: è grandezza!
Altri tempi, altra gente.
Claudio Gliottone