Giovedì 17 novembre è stata celebrata la giornata mondiale della filosofia 2022. Promossa dall’ UNESCO, ogni anno il terzo giovedì del mese di Novembre, per ricordare il valore della filosofia come disciplina e pratica quotidiana, in grado di trasformare la società. Il Wolrd Philosophy Day pone l’accento sul valore imperituro dello sviluppo del pensiero umano, indispensabile per comprendere il contemporaneo. La filosofia è pratica dialogica, prima di ogni cosa è massimamente dialogo interculturale, è ragionamento, confronto tra opinioni diverse. E’ forse l’unica strada percorribile per tornare alle coscienze critiche, quelle che avevano la forza di cambiare il mondo, è forse l’unico strumento contro il leitmotiv dell’intrascendibilità del reale del nostro tempo, del silenziamento di ogni pensiero non allineato. L’unica maniera per poter dissentire da questa esistenza irrazionale, distopica, in cui tutti ci muoviamo a fatica, i giovani senza saperlo e i grandi facendo finta di saperlo. A furia di sentirci dire che la filosofia non serve a niente ci abbiamo creduto tutti, fino a vedere l’ineluttabilità nella vita moderna, che poi in realtà non accontenta nessuno. La comunità socializzata di Marx, fatta da persone libere, uguali e solidali, veniva posta come utopica, anche se innegabilmente la più persuasiva proposta di felicità, credo di poter dire almeno fino ad oggi. Ma cos’è l’utopia se non lo scarto tra reale e ideale? Se non il trait d’union tra l’atto e la potenza? Il ‘900 che apre con la fine della belle epoque chiude anticipatamente con la data epocale del 1989. La data spartiacque della storia moderna, in cui tutte le utopie vengono infrante per sempre. L’entusiasmo che tutti abbiamo vissuto vedendo venir giù il muro più famoso della storia contemporanea si è spento per sempre, collassato sotto quel finto risultato di libertà planetaria. Una libertà che ci rubava per sempre la coscienza critica, rapinando la nostra anima e liberando un corpo, sottomesso di fatto a bisogni indotti che servivano al consumo compulsivo, non alla nostra felicità. Chi è felice non consuma. Non abbiamo più un pensiero alternativo a quello di far di conto. A trionfare è stato il mercato, il liberal-libertario che ci ha indotti a un uso smodato del mondo. Il paradosso è che una delle parole più usate nel nostro tempo è ottimizzare; ottimizzare spazio, tempo, ma anche fare al meglio ogni cosa. L’implicito è fare buon uso di ciò che potenzialmente possa poi diventare un atto ben riuscito. Ma siamo proprio sicuri che stiamo facendo buon uso del mondo? Il primo equivoco sta nel confondere l’agire col fare. Già qui c’è un’insidia nella matrice dell’abuso del mondo. L’agire dà una direzione al nostro movimento, non c’è agire quando ci si muove senza meta, è di fatto la capacità di dare un senso al nostro muoverci nel mondo. Nell’agire ne va della nostra vita. Il fare è invece qualcosa orientato al risultato; il ben fatto vuol dire corrispondere alle prestazioni svolte; il fare bene o fare male decide delle prestazioni, non del senso che esse hanno. E’ così vero che il nostro fare ha prodotto una miriade di oggetti che più aumentano di numero più si allontanano dall’avere un senso. Fino a far sparire il senso della vita, nella luce di sfavillanti vetrine, studiate da chi conosce le nostre voglie così bene da vendercele come volontà. Ormai è il risultato a contare, il senso del percorso molto meno. Sentiamo di essere alienati, di aver perso la direzione, di non saper più dove andare. Il fare è diventato più una fuga che una conquista verso il senso di pienezza della vita. E’ con questa fuga che abusiamo del mondo, perché non è più l’esercizio della nostra libertà: confondiamo libertà con movimento, siccome ci muoviamo molto crediamo di esseri molto liberi. Quanto siamo noi a decidere delle nostre prestazioni? Quanto non è routine, anonimia, inerzia, a condurci? Noi confondiamo motilità con attività, usando il mondo ma senza più valorizzarlo. La corsa è verso l’appropriazione di cose, verso un consumo fine a sé stesso. Per noi la libertà è il semplice accesso ai beni, siamo vittime di una persuasione occulta, che ha fatto del capitalismo il vero totalitarismo perfettamente riuscito (e pensare che il muro di Berlino nei suoi calcinacci voleva proprio essere la fine di tutti i totalitarismi). I bambini stessi vengono riempiti di cose, sottomessi da noi al consumo, resi bambini perversi, annoiati, senza fantasia, a cui facciamo grandiose feste di compleanno: con torte giganti che non mangeranno e animatori che non ascolteranno, per colmare dei vuoti di senso che sarebbero dovuti restare nostri. Se togliamo uno smartphone ai nostri figli non sanno più cosa fare abbiamo tolto ai piccoli la possibilità di essere piccoli e ai grandi l’occasione di crescere davvero. Per assicurarci tutto questo l’imperativo categorico è correre, correre, correre. Senza pausa, senza fermarsi, senza silenzio. Come faccio a capire chi sono, come faccio a fare buon uso del mondo ma anche di me stesso? Platone dice che Essere presuppone riflessione, sospensione, distacco, che solo così posso sentirmi libero; sempre che per libertà si intenda qualcosa di diverso dalla possibilità di aver accesso al consumo, sempre che si intenda qualcosa che si identifichi nella capacità di scelta. Ci siamo appropriati del mondo senza saperlo usare, non coltiviamo più le cose, le divoriamo. Le cose vanno rispettate perché le possibilità immanenti in esse si possano realizzare. Ci vuole cura e non manipolazione Come avrebbe fatto Michelangelo a tirar fuori tanta bellezza da un pezzo di marmo, se non avesse già visto tutta la potenzialità di quella pietra. Questo è fare buon uso del mondo, suppone dedizione non possesso. Il Nuovo Testamento cita “E lo pose nel paradiso terrestre, perché lo custodisse “(e non perché lo sfruttasse). Il fare che non sa apprezzare, l’uso improprio, il consumo, distruggono il mondo, se nulla si conserva vuol dire che nulla vale che nulla è prezioso. Il problema è delle stesse relazioni umane, non solo delle cose, il mondo è abusato, la prepotenza prevale sull’agire. La perversione non è delle cose ma nasce dalla nostra impossibilità di decidere di esse. La parola temperanza non ci piace, anche io faccio fatica a scriverla, l’ho cercata su Google e ci ho rivisto tutta la poesia che il tempo moderno le ha sottratto: “capacità di controllare e mantenere nei giusti limiti il soddisfacimento degli appetiti naturali”. Questo dice il vocabolario; come può una cosa fondante della dignità diventare un anacronismo? Se divoriamo il mondo divoriamo la condizione stessa della nostra esistenza. La temperanza potrebbe aiutarmi a far confliggere le tre dimensioni dell’Io, del mondo e dell’altro in una circolarità virtuosa, e non a lasciarmi predisposto ad una competizione tout court. Kant per il buon uso del mondo mette al centro il rispetto dell’altro, le sue pagine di filosofia morale sono tra le più belle di tutta la storia della filosofia. La pietas umana non è la lacrima, il sentimento patetico, se io vedo dolore, dice Kant, tendo ad identificarmi, tendo a compatire, ma se uno ha successo io simpatizzo con l’atto non con la persona, perché anche io ambisco a quella meta. Rispetto è invece proprio il riconoscimento incondizionato dell’altro e se questo è reciproco, la bellezza è infinita, è il mio io a uscirne gratificato, quale bellezza può essere più alta del nostro poter sentire la nobiltà della nostra stessa coscienza. Il buon uso del mondo è diventare titolari del proprio agire, nel rispetto dell’altro. Questo è il vero merito, la vera fioritura dell’ente uomo. Se non distinguiamo tra necessario e voluttuario saremo perversi, i piaceri da conquistare, quelli che richiedono impegno, perdono prestigio, rispetto a quelli facili. Un po’ di tempo fa ci è stato regalato il cosmo, l’insieme di cielo e terra, una parola che ha la stessa radice di cosmesi: se l’uomo non insegue la bellezza è un ente tra gli enti, cosa tra le cose, semplice immanenza. Siamo tutti uguali perché siamo tutti diversi, senza armonia non possiamo predisporci alla nostra fioritura, all’edificazione di noi stessi. Solo con la bellezza possiamo salvare il mondo. Platone dice che per fare bene la filosofia bisogna studiare prima la musica, apprezzandone anche le pause, i silenzi, e poi i crescendi, necessari ad una giusta armonia. E’ così che possiamo essere protagonisti della nostra vita e poterne fare un’autentica sinfonia: la musica come la filosofia c’entra sempre con la bellezza. Uno dei più noti aforismi di Oscar Wilde recita “meglio essere protagonisti della nostra tragedia che spettatori della nostra vita “. La vita non richiede perfezione ma pienezza. Se non siete d’accordo è lecito discuterne, ma non vuol dire che è perché la cosa sia discutibile.
ANNA FERRARO
Io sono un uomo antico, che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il sorgere del sole sui campi. Non so dunque cosa farmene di un mondo creato con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo. Detesto tutto di esso: la fretta, il frastuono, la volgarità, l’arrivismo. Sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù. Cit. PIER PAOLO PASOLINI