I libri non saranno necessari come il pane per la sopravvivenza ma ci aiutano a scegliere la nostra postura nel mondo. Ci aiutano a stare accesi, a mettere in discussione la realtà data. Possono essere una strada per perseguire il bene, eterno fuggiasco che sembra essersi svuotato di ogni significato e ancora di più di ogni sua possibile necessità d’uso. Si parla di buonismo, come se nel bene ci fosse qualcosa di poco democratico: ma è così? La bontà può essere stupida? Forse questo ci viene da Dostoevskij che pone il focus sul male assoluto ; ma il male può essere veramente interessante? O è sempre qualcuno che ti colpisce alle spalle? E’ vero che gli eroi negativi sono quelli che poi sosteniamo in qualche modo, senza dircelo, forse perché anche il più cattivo del mondo è stato qualcuno che prendeva il latte da sua madre? Il cattivo in fondo ha anche sempre qualcosa di grottesco, perché non è veramente bello da vedere, non è mai semplice , non è mai essenziale, mai discreto, ha sempre qualcosa di pomposo, di sopra le righe, fino ad essere più ridicolo che interessante in qualche maniera. Nel cinema i cattivi di turno hanno sempre questi tratti su cui è facile costruire parodie, del resto anche le note posture hitleriane sono state poi viste come vere e proprie macchiette , imitate nel tempo come cifra stilistica da chi aveva derive autoritarie. Non capire il cattivo, è rinunciare ad un’arma politica, saperlo riconoscere vuol dire evitare qualcosa di cui far parte, vuol dire potersi tirare fuori dal suo registro. Per Socrate può essere cattivo solo colui che non sa. Poter dire il re è nudo è infatti la cosa più forte che abbiamo, ma ci vuole autorevolezza per mettere in discussione quello che sembra essere intoccabile. Gli intellettuali in Italia non hanno voluto coltivare il dubbio, chi ha criticato il sistema lo ha fatto da dentro, sussumendo di fatto le regole del gioco. Se è vero che l’uomo di pensiero merita un riguardo diverso dall’uomo della strada , va da sé che anche le responsabilità per la crisi sociale non possono essere le stesse. Se ci si arricchisce per le proprie idee in un dato sistema , vorrà dire che il pensiero pensante che ha contribuito a crearlo , ha un peso specifico ben diverso dal pensiero dormiente che lo ha soltanto subito come male necessario . L’intellettuale progressista invece di smontare le certezze date, per poterci guardare dentro , proprio come fanno i bambini per capire il funzionamento dei giocattoli, hanno assunto una postura da sacerdoti della verità data. La loro vera colpa è stata quella di non aver nuove idee, nessuno di loro ci ha detto cosa fare per essere migliori, i più audaci hanno proiettato il loro fallimento generazionale sui giovani per poterlo trasformare in un fallimento tout court , ancora prima che questi potessero entrare nella partita della vita a pieno titolo . A cosa mi serve l’intellettuale se non mi apre nuovi mondi, nuove strade, nuove possibilità da pioniere, non da giocatore d’azzardo , ma da conoscitore di una storia che non si dovrebbe ripetere . A cosa mi serve conoscere il negativo se non creo i presupposti per superarlo: il negativo del negativo sempre negativo resta. Dei professori universitari si dice che una volta ottenuta la cattedra si mangiano il cervello, tanto ormai non gli serve più; forse umanamente per loro può andare anche bene, ma non per il resto dell’umanità, che ha sempre camminato sullo sforzo dei suoi figli migliori. Oggi l’intellettuale non è più chi lavora di testa, sembra che tutti abbiano accesso alla cultura, la laurea non garantisce più una crescita sociale, nè tanto meno un futuro migliore. Per non parlare di una cultura che ti fa essere quello che sai . Il Ministro della Cultura del governo Meloni, Gennaro Sangiuliano, ha dichiarato di ritenere il Sommo poeta –Dante-il primo fondatore della destra italiana. Non tanto per l’eccesso, ma è la sfrontata disonestà intellettuale a preoccuparci. Il massimo responsabile della cultura italiana non può saccheggiare il classico per eccellenza su cui si fonda tutta la nostra antropologia culturale. Non solo è arbitrario ma è antistorico, anticulturale, contro ogni etica, morale e politica. Non può indignare solo l’opposizione ma ognuno di noi dovrebbe avere un sussulto se l’essere di parte prende il posto della ragione .Come facciamo a sperare che la politica si prenderà cura dei nostri figli, del loro futuro , della loro ” paideia “.Sono 7 milioni i giovani che non studiano e non lavorano, nessuno fa proposte per impegnarli in qualcosa e poi ci riempiamo la bocca della necessità di essere concreti , di essere pragmatici. In uno scenario di questo tipo diventa difficile parlare di libri, se la realtà è così distopica i sogni si ammalano ,se i giovani sentono di avere un futuro solo biologico smettono di cercare il bello anche nel reale figuriamoci nei libri. Quando leggiamo i grandi classici ma anche i romanzi dell’ultima ora ci accorgiamo di quanto le cose dei libri assomiglino alle cose delle persone comuni, ma allora a cosa servono i libri? E’ vero che chi legge è migliore di chi non legge? Mi verrebbe da dire di si ma di fatto tante librerie chiudono, sembra essere più il momento del buon cibo questo, che certo ha anch’esso una sua dimensione culturale. Bisognerebbe capire perché la cultura sia diventata cibo. Forse perché possiamo essere autori e critici allo stesso tempo o forse perché il cibo finisce dentro di noi come riempitivo sicuramente gratificante. Sembra essere una nuova filosofia, anch’essa figlia della semplificazione, come se il complesso, il difficile, servisse solo a far perdere tempo. Il pop va guardato, certo, perché il mondo è fatto anche da materiali bassi, ma l’uomo non può rinunciare alla complessità, alla sfera dell’alto, al difficile della vita, ci farebbe abbrutire. Essere troppo cauti intellettualmente non va sempre bene. C’è bisogno anche di osare, di prendersi delle confidenze, proprio come fa il comico con la satira, che gli fa dire cose che in altro modo non potrebbe neanche nominare. Solo con la satira riusciamo a dire che il re è nudo, la posizione morale non ci fa muovere ,la postura critica può essere solo culturale non morale. La satira è prendere in giro qualcuno dicendogli la verità, significa avere un bersaglio ma anche una tribù. E’un meccanismo antropologico di uccisione simbolica di chi ci ha messo del suo per diventare bersaglio ,del resto un re che va in giro nudo non ha garanzie di non incontrare il bambino innocente che lo nota. Il detto conta, conta sempre , è con il detto che si strutturano le grandi teorie, ma nonostante tutto la parte più alta resta forse il non detto, quello che si lascia cogliere con diversi gradi di sensibilità. Platone nella Settima Lettera dirà che mai scriverà le cose più belle , perché quelle solo un’anima particolarmente accogliente può riceverle e a sua volta scriverle in altre anime . Cosa è stato il messaggio di Gesù se non questo? Questo è il retaggio che rende difficile poter dire che il re è nudo, anche quando viviamo da svegli. Lo sforzo è quello di essere sé stessi in una realtà che di fatto ce lo vieta. Le cose del mondo passano dai nostri corpi, gli eventi ci attraversano, quando la filosofia si allontana dalla vita non è più filosofia. Innamorarsi della filosofia vuol dire credere che i suoi concetti possano aggiustare il mondo. Si cerca nella logica della filosofia analitica, si cerca nella bellezza della filosofia morale: i fatti e i valori, l’essere e il dover essere, sono questi i nodi da sciogliere. Ma basta scegliere? Io sono un agente razionale o c’è qualcosa che agisce dall’interno? Se ha ragione Lacan, io sono dove non penso e penso dove non sono. Quante volte facciamo il contrario di quello che avremmo voluto fare? Quante volte siamo in scacco matto di noi stessi? Le cose a cui teniamo di più sono quelle in cui la logica non ha alcun potere . E’ tutto ciò in cui i conti non tornano mai. La mancanza che sento di essere è segno della mia vulnerabilità ma anche della mia umanità, quella in cui i conti non tornano e non possono tornare. Questa è la condizione umana , è quel vuoto che necessita di essere riconosciuto, per poter dire IO, tutti meritiamo di poter essere noi stessi , tutti meritiamo che quel vuoto non diventi ferita. Come si fa a non amare i libri-ci dicono che quel dolore che ci sembra tutto nostro è dell’umanità tutta-anzi è proprio la cifra dell’umano. Nel Processo di Kafka c’è tutto il dolore di un figlio che mai si sentirà all’altezza delle aspettative paterne, la sua vita sarà ridotta a macerie. Del resto se non fossimo dipendenti dagli altri non ci sarebbe neppure l’amore . Quella dipendenza la si deve accogliere per poi scoprire il valore dell’autonomia, che si nutre della dipendenza non la esclude. Chi crede di essere un tutto non è sulla strada giusta, prima o poi tutto crolla se si nega la dipendenza dall’altro. I libri sono pieni di storie che raccontano di noi, della nostra fragilità, non sono necessari solo a chi li scrive. Ci mostrano che la verità della condizione umana sta nella vulnerabilità. La stessa dignità, se non passa dalle nostre fragilità, diventa un imperativo categorico che è sempre un rimedio peggiore del male. Chi si muove in ambito filosofico fa fatica a mostrarsi concreto, già Marx fa l’errore di dirsi materialista pur di uscire definitivamente dalla metafisica ; ma Marx non poteva sapere che la materia è solo la curvatura dello spazio-tempo , sarà poi la stessa scienza a dirci che la materia è in realtà legata a quantità incredibilmente astratte. Negli anni a venire sarà la fisica a dirci che la materia è molto più astratta di quanto non si pensi, che la particella di Dio è massa immaginaria che deve esserci per spiegare la materia ma di fatto è introvabile ( da qui il suo nome) . Ecco questa è la ricchezza che può trovare chi frequenta i libri, che non vuol dire essere necessariamente migliore di chi non lo faccia. Nulla cambia di fondamentale nel mondo, puoi leggere quanti libri vuoi ma l’uomo ne esce sempre sconfitto, visto che i bambini continueranno a morire ingiustamente -lo dice Albert Camus- ma dice che è anche l’unico modo per prendere posto nel mondo. Scrive un libro imperdibile per raccontarci come lo sforzo dell’uomo nel costruirsi una coscienza critica sia forse l’unica postura per dar lustro ad un possibile significato della vita : Il Mito di Sisifo. L’uomo condannato a spingere un masso sino alla cima pur sapendo che all’arrivo tutti i suoi sforzi saranno vanificati, perché appena lascerà la presa il masso tornerà al punto di partenza . La sua fatica sarà annullata dall’irrimediabile caduta a valle; ma per Camus è proprio questa la condizione umana, perché di fatto è tutto inutile, la nostra finitezza segna un’implosione di ogni senso. Quella lotta verso la cima però, è ciò che più riempie il cuore dell’uomo. L’unica dignità possibile dell’esistenza sta in quella spinta, tanto inutile quanto necessaria. Anche in una società perfetta l’uomo esce sempre perdente, anzi quanto più è perbene l’uomo, tanto più ci sembra ingiusto il suo morire. L’unico sforzo che vale la pena fare è quello in soccorso dell’umanità tutta, in maniera che possa perlomeno diminuire aritmeticamente il dolore del mondo. Quale motivo migliore per affrontare la fatica del vivere? La bellezza non è prerogativa del banale di cui parla la cultura dominante, è qualcosa di molto più profondo, è l’amore dell’uomo per l’uomo . I Classici lo dicono senza tecnicismi filosofici ,sono libri per tutti ,basta non lasciarsi intimidire da nomi che hanno fatto sì la storia della letteratura ma per lo spessore umano ancora prima che per la grandezza di scrittori: parlano a noi di noi. La voce fuori campo è il dolore dell’uomo , perché senza sofferenza psichica non può esserci arte. I Classici ci aiutano ad essere consapevoli di noi stessi , anche come popolo; ci sollevano dalla nostra dimensione empirica , dai bisogni immediati che portano all’allontanamento dalle domande fondamentali. Oggi si tende a farli sparire, a vituperare il sapere classico-il potere tende a produrne uno tutto suo- in linea alle sue necessità. C’è l’infatuazione del dato, del fatto : si dice “ saranno i fatti a parlare “, come se non ci fosse niente di più decisivo. Viviamo nell’idiotismo specialistico: sapere perfetto ma su cose irrilevanti rispetto al nostro essere al mondo. Non siamo neanche più in grado di confrontarci con chi non la pensa come noi , il dialogo ha lasciato posto all’insulto; eppure era l’unico luogo in cui la parola potesse acquistare spessore, avvicinandosi alla verità. Certo, tornando all’incipit: senza cibo non si sopravvive a lungo, mentre si può vivere per molto tempo anche senza leggere libri, magari tutta la vita, ma sentirsi vivi ha tante opzioni. Per qualcuno è andare sulla luna, per altri semplicemente respirare.
ANNA FERRARO
Non è tanto restare vivi, quanto restare umani che è importante. CIT. George Orwel l nel suo capolavoro : “1984”