Mi chiamo Alessandra Petronzi e frequento il quarto ed ultimo anno in un liceo classico quadriennale; di conseguenza le materie umanistiche sono sempre state al centro della mia indagine quotidiana, per questo dinanzi ad una proposta innovativa come quella di questa pagina, non mi sono potuta tirare indietro.
Ho avuto modo di leggere le riflessioni di Anna Ferraro, che spero possa ritenere questo mio piccolo articolo una semplice dialogo fra diverse generazioni e non una critica (che non posso né voglio fare), riguardo i giovani e la tecnica e devo dire che la sua pubblicazione ha scatenato in me sentimenti contrastanti.
Parlo da giovane donna e riconosco i pregi e i difetti della mia generazione.
I giovani, secondo il mio modesto parere, vengono sempre più posti nel mirino della società odierna e spesso, ingiustamente oserei dire, vengono criticati o messi a nudo, in modo giusto ed ingiusto, senza che possano effettivamente controbattere.
Spero quindi di poter usare questo spazio nella pagina per poter esprimere il mio pensiero senza filtri alcuni, cosa che oggi come oggi è sempre più difficile.
Lei, proprio all’inizio della sua pubblicazione, ha aspramente criticato il politically correct: ed è vero, come lei spiega, che non è una parola a fare la differenza, ma i sentimenti che la accompagnano.
Se prendessimo, infatti, il politically correct come una semplice “censura linguistica”, allora avrebbe tutta la mia stima ed approvazione, perché nessuna censura deve essere difesa e perpetrata.
Eppure esso non è strettamente legato alle parole, anche se nel quotidiano possiamo vederne l’effettiva efficienza solo in questo campo; politicamente corretto descrive infatti un orientamento ideologico e culturale improntato al pieno rispetto dell’identità politica, etnica, religiosa, sessuale, sociale ecc. di altri soggetti.
Ovviamente come tutte le cose, belle o brutte che siano, se si arriva all’abuso si trasformano in dannose, nessuno lo nega.
Una società che spinge i giovani a celare i propri sentimenti, a non dire troppo o fare troppo, una società che spinge loro a scegliere il proprio percorso di studi solo in funzione di un futuro guadagno, una società che predilige giovani non-pensanti, una società dove il pensiero personale è annientato, è questa la società in cui viviamo.
Tutto ciò non è dovuto certo ad una politica “corretta” che da la possibilità a tutti di poter venire compresa, soprattutto le minoranze che altrimenti avrebbero la bocca tappata.
Ma i giovani? Accettano tutto il peso della società passivamente?
No, nonostante tutto, coloro che riescono a differenziarsi dalla massa, continuano a combattere e ci sono chiari esempi, sono stati spesso i più giovani a dettare delle “rivoluzioni”, se così si possono chiamare, negli ultimi anni.
Abbiamo Greta Thunberg, che ha cominciato i suoi moti rivoluzionari da adolescente; Olga Misik, la ragazza russa che nel 2019 con un coraggio sconosciuto ai più, adulti e giovani, in piazza a Mosca, il giorno dopo l’esclusione dei candidati dell’opposizione all’Assemblea rappresentativa di tutta la Russia, ha letto gli articoli della Costituzione che garantiscono la libertà e la possibilità di ogni cittadino di essere eletto; in Italia abbiamo il movimento delle Sardine e potrei andare avanti all’infinito citando ed analizzando, per esempio, i moti rivoluzionari guidati soprattutto da studenti ad Hong Kong o in Cile.
In questo panorama dobbiamo poi aggiungere, come lei ha opportunamente scritto, il fattore tecnico.
La tecnica, questo mostro spaventoso e terribile che dovrebbe essere spogliato da tutti gli aggettivi che gli vengono affiancati per poter essere studiato in modo oggettivo e pragmatico.
Non dobbiamo mai dimenticare che se la tecnica è arrivata a tal punto di “autonomia” è solo grazie agli uomini, solo perché gli uomini lo hanno voluto; essa non si è sviluppata da sola e da sola non si estinguerà, servirebbe un intervento unanime che però mi sembra impossibile in quest’epoca moderna e non perché essa è invulnerabile, ma solo perché sono gli uomini a non voler cambiare lo stato delle cose, preferendo chiudere gli occhi davanti al problema.
Non è la tecnica ad averci resi schiavi, siamo noi uomini tracotanti che abbiamo pensato di poterla soggiogare.
Alessandra Petronzi