Si era svegliato proprio di buzzo buono il nostro Cosimo, quella mattina: e lo aveva fatto anche molto presto. “Ma tu guarda un poco se questo strofinaccio si doveva andare ad impicciare proprio nei riccioli di quest’angioletto” bofonchiava tra sé mentre tentava di dipanare una matassa che al contrario, come spesso succede, diventava sempre più intricata. Dalle cinque erano ormai trascorse quasi quattro ore: aveva tolto tutte le ragnatele che con grande capacità si mimetizzavano tra le screpolature dei muri e negli angoli più bui. Aveva spolverato tutti i banchi e poi li aveva impregnati di gel disinfettante, come aveva più volte sentito dire dai vari virologi che da due anni si alternavano sugli schermi della tv dicendo ognuno la sua: allo stesso modo aveva lavato il pavimento dopo averlo ben spazzato. Aveva financo lavato le vetrate ed i lampadari, spolverato le statue ed i quadri e tolta l’abbondante cera residua delle numerose candele che ardevano rinnovate di volta in volta senza che nessuno si preoccupasse di rimuoverne i resti. Ora si stava dedicando a ripulire un po’ le statue presenti nelle nicchie laterali e gli angioletti posti sull’altare; e qui era avvenuto l’inghippo del panno aggrovigliatosi tra le spire dorate degli angelici capelli. “Lo sapevo, lo sapevo che succedeva questo; me lo sentivo.” Non saprei dire se per la stanchezza, (aveva pur sempre oltre 1700 anni), o per la comprensibile stizza del momento questo ultimo bofonchio salì di molti decibel e non sfuggì alle orecchie di Damiano che sobbalzò dal giaciglio.
“Cosimoooooo! Ma e’ semp’ a’ solita storia: int’ a’ sta’ chiesa non se po’ proprio durmì! Ch’è stato: che at’ e’ cumbinato appena matina?”
“Nun te preoccupà, Damià: duorm’, continua a durmì”
“Ma oramai m’hai scetat’: comme continuo a durmì? Ia’… dimme ch’è stato”
“Niente, c’aveva essere?. E’ che da quasi un anno in questa chiesa c’è tanta confusione, disordine, sporcizia che non ce l’ho fatta più. Stamattina mi sono alzato alle cinque ed ho cominciato a sistemare le cose e a fare un po’ di pulizia”
“Questo l’avevo capito, Cosimì. Ma mi potevi chiedere un aiuto… e che diamine, ci viviamo in due in questa chiesa…”
“E’ proprio accussì Damià. Ma c’era bisogno che ti chiedessi aiuto? Tu, proprio perché ci vivi come me, non provi disagio? Allora fai come i nostri amministratori? Chiudono gli occhi, nascondono la testa nella sabbia e tutto gli scorre addosso? Mi chiedo: ma non ci abitano anche loro in questo scarrupatissimo paese? Non girano in macchina o a piedi e non vedono che non c’è una strada, dico una, senza centinaia di pericolose buche? Non vedono la sporcizia e la immondizia che spesso si accumula per le vie, perché il servizio di nettezza urbana, che pure costa quel che costa, fa acqua da tutti i buchi? Non devono liberarsi anche loro, prima o poi, di qualche rifiuto ingombrante? E dove pensano di portarlo? In qualche curva di qualche strada meno dissestata, come fanno i loro amministrati? O non si pongono proprio il problema? Nelle loro case l’acqua e la luce arrivano sempre? Lo sanno che i loro figli vanno a scuola in edifici strutturalmente molto precari? E sono contenti di vivere in questo letamaio che si ingrandisce giorno per giorno, grazie anche a loro o non se ne accorgono proprio? Il problema è terribilmente serio.”
“Cosimì, io non so rispondere a queste domande. So solo che la “politica” in tutto questo disastro creato dai “grandi pensatori teanesi” se ne è andata a far fottere dal giorno immediatamente successivo a quel triste 10 giugno del 1918. Manco più lei può ancora giustificare quanto accaduto, visti i vari continui cambi di casacca dei protagonisti eletti; quelli che hanno generato quelli che a loro volta hanno generato questo insanabile disastro dovrebbero darsi bottigliate sui testicoli 48 ore su 24, per tutti i giorni a venire. Ma continuano ad arrampicarsi sugli specchi senza avere la dignità di dire “abbiamo preso il ca… per la bottiglia dell’olio”! Conosci questo detto?”
“Si, Damià, e come non lo conosco. Ma vedi io ho avvertito tutto il disagio di convivere con l’angelo pieno di – felinie -, con il quadro pieno di polvere, con i banchi sozzi, con la cera per terra; eppure noi non abbiamo la colpa di questa situazione. Invece esiste gente che non se ne sarebbe accorta nemmeno, pur essendone gran parte la causa e, quel ch’è peggio, continua a non far niente per rimuovere uno stato pietoso. Anzi continua imperterrito a far manfrine per accreditarsi ora con questo ora con quel politico: per quali fini, Damià, per quali fini?”
“Ma per farli venire di persona ad aggiustare le strade, con pala e catrame; per farli venire a aggiustare l’acquedotto con tubi e cemento, per farli raccogliere l’immondizia dalle vie del paese, con ramazza e carriola. Cosimì! Che ti pare: non è una bella idea?”.
“E io mo’ non c’avev’ proprio pensato: o’ vviri ca è sempe buono ave’ n’amico che capisce tutt’cos’?
“Santa notte, Cosimo” sospirò Damiano rinfilandosi nelle coperte.
“Quale santa notte a’ fatt’ a’ te, Damià? Song’ e’ nnove. Scinn’ e vieneme a da’ na’ mano, Fa subbet’ “.
Claudio Gliottone