Sidicini, bisogna proprio ammetterlo, i comunisti hanno sempre saputo buttarsi alle spalle tutte le sconfitte traendo vantaggio dalla debolezza dei propri avversari. In tale modo, fin dal 20 aprile 1948, giorno successivo alla disfatta loro inferta da De Gasperi, cominciarono a risalire la china, tanto che solamente dodici anni più tardi riuscirono, con un moto di piazza bene orchestrato e abbondantemente sponsorizzato, a rovesciare il legittimo governo della Repubblica, imponendo alla Dc l’alleanza con i socialisti di Nenni e De Martino e poi, nel decennio successivo, entrando essi stessi nella maggioranza. Sarebbero di lì a poco approdati anche al governo, se l’assassinio di Moro non lo avesse impedito. Contemporaneamente sono sempre riusciti a superare indenni i grandi scandali della storia nazionale, che invece, guarda caso, hanno travolto chiunque tentasse, in qualsiasi modo, di sbarrare loro la strada.
La prima vittima di tale strategia fu Fernando Tambroni nel 1960, cui fece seguito Antonio Segni nel 1964, Amintore Fanfani, il quale dovette rinunciare alla candidatura al Quirinale nel dicembre dello stesso anno, perché gli ambienti progressisti dei salotti buoni e della stessa Chiesa cattolica si erano persuasi che intendesse ricacciare i marxisti all’opposizione, senza parlare di Bettino Craxi, il leader più odiato dal Pci, avendogli sbarrato l’accesso al potere per un intero decennio. Solo per questo la figlia Stefania dovrebbe andare a testa alta per la morte in esilio del padre, ciò che lo accomuna con molti grandi della storia, in primis Bonaparte. Inutile, poi, ricordare l’originale calvario inflitto a Silvio Berlusconi, anche se questo in un certo senso se lo è meritato, non avendo saputo scegliersi collaboratori all’altezza, né reagire ai soprusi in modo determinato e non convenzionale, come al suo posto avrebbero fatto personaggi della tempra di Giulio Cesare, Augusto, Napoleone, Churchill o de Grulle. D’altra parte non era giusto pretendere che un semplice imprenditore, per quanto geniale e unico nel suo campo, potesse eguagliare quei giganti.
In sintesi, sbaragliato l’ultimo avversario e neutralizzate con mendace promesse o ridicole lusinghe Fini, Alfano e Tosi, dei quali la storia neppure parlerà, ovvero lo farà collocandoli nel folclore nazionale, i post o neocomunisti come li si voglia definire, sono finalmente riusciti ad occupare il potere per intero e a gestirlo indisturbati. Le riforme da loro abbozzate disegnano, infatti, uno Stato ad uso e consumo dei loro amici, clienti e docili servitori. Il nuovo Parlamento, composto da una Camera eletta con un legge che fa impallidire non soltanto quella truffa del 1953, ma anche quella Acerbo del 1924, che spalancò le porte alla dittatura, sarà per modo di dire controllata da un Senato di nominati, espressione di Consigli regionali che dopo le prossime elezioni risulteranno tutti, tranne forse uno, in mano alle sinistre. A questo massacro istituzionale fa da riscontro una impressionante serie di provvedimenti economici, sociali e fiscali che, qualora dovessero trovare autentica e puntuale applicazione, trasformerebbero l’Italia nella sola democrazia popolare sopravvissuta al 1991.
Come sono riusciti, in pieno duemila, a realizzare quel sogno, inseguito invano negli anni di Stalin, Kruscev e Breznev? E ‘ semplice intuirlo: grazie alla loro alleanza con i poteri forti, ossia con quella mafia globale che mira ormai apertamente al dominio sul pianeta. Il modello sociale che essi tentano di imporre all’Italia è, infatti, un ibrido fra un capitalismo antiliberale in salsa germanica e nordamericana, e uno statalismo a tutto campo di tipo sovietico o cecoslovacco.
Di fronte al serio rischio che questa coalizione d’interessi illeciti e letali per la Nazione possa durare a lungo, chi è d’accordo e crede ancora nel valore della libertà, non ha che due strade davanti a sé: abbandonare l’Italia o rifondare, a parti invertite, i Comitati di Liberazione. Questi ultimi dovrebbero comprendere, senza discriminazioni o pregiudizi ideologici, sia chi finora si è definito di destra, sia chi si è definito di sinistra, purché intenda contribuire sinceramente alla salvezza delle istituzioni democratiche.
In questo momento dobbiamo far nostro il detto degli antichi romani, che di politica s’intendevano più dei comunisti: salus rei publicae suprema lex est. Tutto il resto è spazzatura, da gettare nell’immondezzaio della storia, parafrasando una celebre sentenza di Ronald Reagan.