«Immagino che la mia vita possa essere libera solo all’estero, in Paesi che possano darmi un’altra identità, così che possa permettermi una vita nuova che comincia da zero». Lo ha detto oggi lo scrittore Roberto Saviano, al tribunale di Napoli, deponendo come persona offesa, per le minacce subite durante l’appello del processo «Spartacus» dai boss del clan dei casalesi Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, tramite i loro legali Carmine D’Aniello e Michele Santonastaso (lo scorso giugno, per lo stesso motivo, aveva testimoniato la giornalista e senatrice del Pd Rosaria Capacchione, a sua volta presa di mira dai due boss).
L’autore di Gomorra (Mondadori, 2006), tornato in libreria con ZeroZeroZero(Feltrinelli, 2013), rispondendo alle domande del pm Antonello Ardituro e del suo legato, avvocato Rosario Nobile, ha raccontato di sentirsi come «un reduce dopo una battaglia. Vivevo a Napoli e immaginavo la possibilità di una carriera universitaria. I rapporti con i miei familiari sono diventati complicati. Il progressivo aumento della scorta rende difficilissima la vita quotidiana. Non esistono passeggiate, nessuna forma di vita normale, non posso prendere il treno nè la metropolitana o scegliere un ristorante senza concordarlo con la scorta». MaGomorra gli ha cambiato (e sequestrato) la vita.
Lo scrittore ha ricordato l’escalation di tensione attorno alla sua persona fisica e ai suoi cari. Nel settembre 2006 era a Casal di Principe per una giornata contro la camorra: «In piazza di questi temi non si era mai parlato. In paese si percepiva un clima di tensione», ricorda. Dal palco rivolse un appello contro i boss Zagaria, Schiavone e Iovine. «Mi accorsi della presenza di Carmine Schiavone, figlio di “Sandokan”: la piazza smise di guardare me è cominciò a guardare lui. Di lì a poco sarei dovuto andare a prendere il treno per Napoli ma la scorta dell’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti decise di accompagnarmi: “Questo ragazzo non va via da solo”».
Tra le tante minacce ricevute successivamente, Saviano ha ricordato un volantino lasciato nella cassetta delle lettere della madre in cui accanto alla sua foto compariva una pistola con la scritta «Condannato». I primi tempi, poi, dopo il libro, a Casal di Principe «i negozi abbassavano le saracinesche, le finestre delle case erano chiuse: una parte della città mi percepiva ostile». Nicola Schiavone, il padre di Sandokan, ripreso anche dalle Iene, disse: «Buffone, a Casale ci sono gli uomini, non gente come te. Fai bene il tuo lavoro, non il pagliaccio».
L’impressione, questa volta, è che Saviano voglia fuggire da se stesso. O meglio dall’icona in cui si è trasformato attraverso un successo letterario, mediatico, politico e televisivo invasivo. Totalitario. Indiscrezioni, raccolte da Dagospia, segnalano che per lui sarebbero pronti incarichi universitari in Nord America. Paese dove lo scrittore nel 2012 si è rifugato per sottrarsi a invidie e cattiverie, come raccontò sul settimanale Vanity Fair.
Ma se Saviano volesse davvero cambiare identità come potrebbe avere un ruolo pubblico, benché all’estero?
Allora le parole di oggi andrebbero prese come uno sfogo. Personale, più che politico. Viste anche le ultime sconfitte in “aula”. Quali?
Se è vero che Saviano ha vinto la guerra contro i Casalesi, almeno per quanto riguarda il processo Spartacus e la demolizione pubblica dei boss, ha perso alcune battaglie legali legate a Gomorra (è stato condannato in appello per aver riprodotto, non citando la fonte, alcuni brani tratti da giornali campani) e alla raccolta di articoli La bellezza e l’inferno (in particolare, dove racconta di una telefonata con la madre di Peppino Impastato, Felicia, mai avvenuta). Se a questo si somma il mancato bis di Gomorra con ZeroZeroZero, almeno per quanto riguarda le vendite, e un raffreddamento con Fabio Fazio, compagno di viaggio in quello straordinario successo che fu Vieni via con me, i motivi di scoramento per lo scrittore non mancano.
Foto Ansa / Ciro De Luca
Fonte: Corriere.it