“Se vuoi la pace, prepara la guerra” è una famosa locuzione con la quale lo scrittore latino Vegezio invitava i suoi concittadini a non dormire sugli allori. Sugli allori, invece, ha dormito l’Italia: sicuri di avere il miglior Sistema Sanitario Nazionale al mondo (e di questo sono convinto anch’io), resasi conto, però’ , dei suoi costi immensi, ha proceduto piano piano a dissestarlo notevolmente. E lo ha fatto, naturalmente secondo logiche e motivi che per nulla riguardavano la preservazione della salute pubblica: ha seguito logiche politiche, e quindi di parte, nello smantellare piccoli ma utilissimi ospedali, magari costruendone altri per accentrarli; il tutto favorendo altri aspetti del welfare anche più costosi, come il reddito di cittadinanza, l’accoglienza senza filtri agli stranieri, il pensionamento a quota cento e via discorrendo. E’ la sorte toccata anche al nostro ospedale, chiuso immediatamente dopo una ristrutturazione costata milioni e milioni di vecchie lire ed un adeguamento a tutti i più moderni criteri di costruzioni sanitarie: piange il cuore a vedere un edificio con porte antincendio, ascensori adatti al trasporto di barelle, e impianti di erogazione di ossigeno e di aspirazione in stanze dove ora lavorano dipendenti amministrativi dell’ASL, il tutto sotto un mare di carte, di circolari, di decreti, di esenzioni e di limitazioni varie. Ora la guerra è arrivata, e ci ha colto naturalmente impreparati: contro un morbo che arriverà a pretendere oltre seimila posti di rianimazione, in tutta Italia ne abbiamo meno di quattromila. Senza parlare della ordinaria patologia operatoria e non, che pure ne richiede l’imprescindibile uso. Un valoroso gruppo di nostri concittadini si batte da anni per la , a questo punto irrealizzabile, riapertura del nostro ospedale, brillante testimonianza negli anni passati di efficiente funzionalità e, perché no, di gloriosa storia. Le molteplici riunioni ed assemblee sono servite solo da passerella ai politici di turno: a promettere, a garantire, a spergiurare, ad inventarsi pannicelli caldi, ma non a praticare alcunché. L’ ultima promessa, dopo la creazione dell’Ospedale di Comunità, rivelatasi, come previsto dai più, null’altro che un discreto cronicario a lunga degenza, si stanno inventando e proponendo un “day surgery” . In pratica una sala operatoria per piccoli interventi che richiedono la degenza di un giorno: immaginate voi quali potrebbero essere, in un sanatorio dove non esisterebbero servizi indispensabili di sala di rianimazione, di gabinetto di analisi, di gabinetto radiografico e via dicendo. Sarebbe solo, questo sì, un valido alleggerimento per altri ospedali che dirotterebbero a quello di Teano le patologie minori. Ma quale utilità offrirebbe alla nostra città il farsi spremere un foruncolo o aprire un ascesso? E’ di questo che abbiamo bisogno? Senza contare il divario enorme tra costi e benefici e l’assenza assoluta di ritorno economico per la cittadinanza. La guerra è arrivata, e noi, in tempo di pace, a tutto abbiamo pensato, meno che potesse arrivare. Succede, ma non dovrebbe.
Claudio Gliottone